Alessandro Baricco su Repubblica riflette sull’emergenza in corso e propone un cambio di atteggiamento per affrontarla. In modo che, in mezzo a tutti i problemi, non si perdano di vista le opportunità. Ne riportiamo un estratto.

Devo averla già raccontata, ma è il momento di ripeterla. Viene da un bel romanzo svedese. C’è la regina che decide di imparare ad andare a cavallo. Monta in sella. Poi chiede sprezzante al maestro d’equitazione se ci sono della regole. Ed ecco cosa risponde lui: «Prima regola, prudenza. Seconda, audacia».

Bene, direi che con la prudenza ci stiamo dando un sacco da fare. Possiamo passare all’audacia.

Dobbiamo passare all’audacia.

Se sei un medico, non so cosa possa voler dire essere audaci in questo momento, quindi non mi permetto di dare suggerimenti. Però so esattamente cosa significhi essere audaci, in questo momento, per gli intellettuali: mettere da parte la tristezza, e pensare: cioè capire, leggere il caos, inventariare i mostri mai visti, dare nomi a fenomeni mai vissuti, guardare negli occhi verità schifose e, dopo che hai fatto tutto questo, prenderti il rischio micidiale di dare a tutti qualche certezza. Al lavoro dunque, ognuno nella misura delle sue possibilità e del suo talento. Io in questo momento non sono particolarmente in forma, ma niente mi impedirà di scrivere qui alcune cose che so. È il mio mestiere.

Il mondo non finirà. Né ci ritroveremo in una situazione di anarchia in cui comanderà quello che alle elementari stava all’ultimo banco, non capiva una fava però era grosso e ci godeva a menarti. Sveglia, quelli sono romanzi. Torniamo in noi. E noi umani siamo una specie di agghiacciante pazienza, intelligenza e forza: siamo gente che è riuscita a convertire il creato nel proprio parco di divertimenti grazie a una delle operazioni più violente e ciniche che si potessero immaginare; non solo, ne siamo anche consapevoli: abbiamo dato un nome al bottino di una simile razzia, antropocene, e siamo arrivati ad essere talmente sicuri di noi stessi da iniziare a pensare recentemente di restituire a parte del creato una sua libertà. Siamo quelli lì. Da sempre combattiamo con i virus. Spesso ci hanno messo in ginocchio. Si dà il caso però che in quella posizione scomoda diventiamo ancora più pazienti, cocciuti e furbi.

Stiamo facendo pace col Game, con la civiltà digitale: l’abbiamo fondata, poi abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo facendo pace con lei. La gente, a tutti i livelli, sta maturando un senso di fiducia, consuetudine e gratitudine per gli strumenti digitali che si depositerà sul comune sentire e non se ne andrà più. Una delle utopie portanti della rivoluzione digitale era che gli strumenti digitali diventassero un’estensione quasi biologica dei nostri corpi e non delle protesi artificiali che limitavano il nostro essere umani: l’utopia sta diventando prassi quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che stavamo cumulando per eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice fighetteria intellettuale. Ci ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a correggere perché lo faremo senza risentimento.

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(Foto di Felipe Giacometti su Unsplash)