A sfogliare la lista delle invenzioni partorite dal genio italico, si resta senza parole: la radio di Guglielmo Marconi, il telefono di Antonio Meucci, il motore a scoppio di Barsanti e Matteucci. Giusto per citare le più note e senza andare troppo indietro nei secoli. Oggi, con la tecnologia eletta a campo da gioco in cui ha luogo la sfida dell’immaginazione, tutta la capacità visionaria del nostro tempo sembra confinata in un’area ristrettissima, eppure potenzialmente infinita: l’algoritmo.

La parola, così com’è, evoca il sito internet dal quale tutti siamo, chi più chi meno, dipendenti: Google. Essa fa riferimento a un procedimento che risolve un determinato problema con un numero finito di passi. Come tanti altri concetti matematici, anche in questo siamo debitori al mondo arabo: il matematico persiano Al-Khwarizmi è infatti famoso per essere stato il primo a sviluppare delle procedure che permettevano di effettuare calcoli in notazione decimale.

Oggi l’algoritmo è alla base di quasi tutto. Ci accompagna, per esempio, quando visitiamo siti di acquisto online, tipo Amazon. Stiamo cercando un album dei Beatles? Ecco che ci vengono proposti anche quelli da solisti di George Harrison, Paul McCartney, John Lennon. In base alle scelte degli altri utenti, ai nostri acquisti precedenti, ai nostri comportamenti di navigazione sulle pagine. Calcoli su calcoli su calcoli. «Continuo a trovare sempre nuovi modi in cui la cultura degli algoritmi si afferma», scrive Ted Striphas, professore all’Indiana University e autore del libro The Late Age of Print. «Alcune istituzioni usano un algoritmo per associare gli studenti nelle stanze dei collegi per assicurare la compatibilità tra i loro caratteri e tra i loro interessi. In altri casi gli algoritmi sono utilizzati per raccomandare i corsi da seguire. Persino i trend scolastici, oggi, sono gestiti con gli algoritmi».

Insomma, si chiede Striphas, «chi ha bisogno dell’uomo -anche il cosiddetto uomo digitale- quando il tuo Kindle ti dice a cosa dovresti fare attenzione all’interno del testo che stai leggendo?». Gli algoritmi incrociano quantità di informazioni non gestibili da parte del cervello umano, come fa notare nel suo intervento Giuseppe Granieri, su La Stampa dell’11 febbraio. Egli porta il discorso verso l’editoria, e fa notare come sia necessario anche per gli editori, e non solo per i possibili acquirenti, appoggiare la propria banca dati a un algoritmo. Un libro per vendere ha bisogno di visibilità, e in un mondo in cui la complessità è sempre in aumento, il rischio che un messaggio si perda all’interno del rumore che riempie i flussi informativi è alto.

Tutto molto utile, forse indispensabile. Saremo dei romantici, ma l’idea che la prossima grande invenzione possa essere, ancora una volta, un algoritmo, ci lascia un po’ delusi. Ridurre la complessità a livelli compatibili con la “capacità di calcolo” del nostro cervello è certamente un atto nobile. Ma forse ci piace di più l’idea di inventore come persona in grado di trovare un modo nuovo -non semplicemente più efficiente- di risolvere i problemi. Lo studio scientifico ha sempre marcato da vicino le menti più creative (o viceversa), ma ci auguriamo che si torni ad allargare la visione del mondo al di fuori delle questioni informatiche. Si continui pure a fare ricerca e a inventare, ma se avessi dubbi su quale libro comprare vorrei fosse il libraio che conosco da una vita a consigliarmi, non una stringa di procedure matematiche.