Da quando nelle città si è diffusa la cultura del “cibo biologico”, si è generata una certa confusione su cosa ci sia dietro a questa definizione. In molti, alla ricerca di un’alimentazione più sana ma poco avvezzi ad abbandonare l’abitudine della spesa al supermercato, hanno semplicemente cambiato il tipo di prodotti acquistati, privilegiando quelli che riportano il marchio “prodotto biologico”, magari accompagnati da una grafica ricca di riferimenti alla natura e con un vago gusto per la “tradizione” e la “vita semplice”. Purtroppo la questione è più complessa, e spesso non c’è grande differenza tra il prodotto confezionato nel vecchio packaging standard e quello imbustato in maniera più ricercata. Non si tratta di pregiudizi, ma di evidenze messe in luce di volta in volta da ricerche scientifiche. Riprendiamo di seguito alcuni passaggi da un post di Dario Bressanini (docente di scienze chimiche e ambientali all’Università dell’Insubria) pubblicato il 6 giugno sul suo blog per il Fatto Quotidiano.

[…] Il confronto tra agricoltura biologica e convenzionale si può fare su vari livelli. Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, delle rese, dei residui di pesticidi, degli effetti sulla salute oppure del contenuto nutrizionale. Se vi interessa sapere che cosa dice la ricerca scientifica di questi altri aspetti potete leggere l’ultima edizione ampliata del mio libro Pane e Bugie (Chiarelettere).

Veniamo al contenuto nutrizionale. Nel 2010 viene pubblicata una “rassegna sistematica” sulle differenze nutrizionali tra prodotti bio e convenzionali: un mega riassunto di tutti gli articoli scientifici di qualità mai pubblicati di confronto tra biologico e convenzionale dal 1958, la potete trovare qui. Tenendo conto di tutte le ricerche mai pubblicate questa era la “fotografia” più accurata che si potesse fare della ricerca in questo campo. I risultati fecero arrabbiare molti “innamorati del bio” perché sostanzialmente diceva che a parte casi specifici (ad esempio i cereali bio sono mediamente più poveri di proteine mentre i pomodori bio sono mediamente più ricchi di vitamina C) non ci sono prove che dimostrino sostanziali differenze nutrizionali tra alimenti bio e convenzionali. E questo invece è un chiodo spesso battuto nella comunicazione commerciale dei prodotti bio. È noto che siamo tutti ambientalisti con il portafoglio degli altri e che gli eventuali benefici ambientali (ne parlo nel libro) non sono sufficienti per rendere commercialmente appetibili i prodotti bio al grande pubblico. Il consumatore vuole un beneficio per il suo benessere e per la sua salute. Da qui una serie di tecniche di comunicazione volte a inneggiare proprietà salutistiche e nutrizionali dallo scarso o nullo supporto scientifico. Quello studio del 2010 scatenò molte polemiche, spesso di chi non comprendeva appieno la ricerca.

[…] Veniamo in Italia: il Cra (ex Inran) ha effettuato uno studio bibliografico delle pubblicazioni dal 2005 al 2011 (quindi molto più limitata delle precedenti che invece le includevano tutte) che confrontavano prodotti bio e convenzionali. Lo potete leggere qui (io l’ho letto, altri “esperti” non so). Le conclusioni, da pagina 22, ribaltano il risultato delle due rassegne sistematiche precedenti? No. E sarebbe strano se lo facessero visto che non è uno “studio nuovo”, ma una analisi di solo una parte degli articoli già presi in considerazione in precedenza anche dagli altri due studi. Ancora una volta risulta che a influenzare il contenuto nutrizionale sono primariamente la genetica e le condizioni agroclimatiche e del suolo, più che il metodo di coltivazione. In altre parole un pomodoro con un patrimonio genetico ben selezionato e coltivato convenzionalmente al sole di Sicilia è probabile risulti nutrizionalmente superiore al pomodoro biologico laqualunque coltivato in una triste serra olandese.

Questo i nostri ricercatori lo mettono subito in evidenza, ancora prima di iniziare lo studio (a pagina 3): «Se avessimo trovato differenze statisticamente significative per una qualche caratteristica delle qualità nutrizionale, questo non avrebbe significato che tali differenze potessero essere garantite al consumatore al momento dell’acquisto di un prodotto biologico al mercato». […]

L’articolo continua qui con altri interessanti dati che convergono tutti sulle medesime conclusioni.