Sultan Al Jaber, presidente della COP28, è lo stesso che a novembre di quest’anno ha affermato che non c’è alcuna prova scientifica del fatto che una “eliminazione graduale” dei combustibili fossili sia necessaria per limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto alle temperature preindustriali.
Già questo la dice lunga su un evento che, nelle intenzioni, doveva trovare soluzioni politiche ai problemi ambientali a partire dalle conclusioni della scienza. Ma data la problematica scelta di tenere questa edizione della conferenza (ma anche la prossima) in uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, non stupisce che invece si sia dedicato molto tempo a discussioni ormai obsolete su ciò che la scienza dice o non dice sulla principale fonte di emissioni di gas serra dell’umanità.
Secondo le ultime stime, si legge in un articolo su Nature, il mondo dovrebbe eliminare le emissioni di anidride carbonica nel giro di poco più di un decennio, riducendo al contempo quelle di metano e altri gas serra, per avere anche solo il 50 per cento di possibilità di limitare il riscaldamento medio a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. L’equazione cambia, tuttavia, se l’uomo è in grado anche di estrarre la CO2 dall’atmosfera su scala industriale.
Il punto non è infatti solo raggiungere emissioni “nette” entro la metà del secolo, ma anche decidere cosa fare dopo. Come spiega Nature, in quasi tutti i percorsi per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C valutati dall’IPCC (Panel intergovernativo sul cambiamento climatico), le temperature superano temporaneamente tale obiettivo. Solo attraverso la rimozione su larga scala della CO2, o attraverso emissioni negative, le temperature potranno essere ridotte entro la fine del secolo.
Questa area di discrezionalità offre un margine di manovra che i Paesi che dipendono dai combustibili fossili – come Emirati Arabi e Stati Uniti – stanno sfruttando: sostengono la richiesta di eliminare gradualmente i combustibili fossili, ma stanno estraendo quantità record di petrolio e gas dal suolo.
Secondo Nature sono i Paesi ricchi a dover fare da apripista. Ciò significa non solo ridurre le emissioni e abbassare i costi delle tecnologie energetiche pulite, ma anche fornire aiuti finanziari per aiutare i Paesi più poveri a fare la loro parte.
La scienza è dunque chiara sul fatto che c’è solo una strada percorribile: eliminare quasi tutti i combustibili fossili il più rapidamente possibile. È una questione di quando, non di se. Più di 100 Paesi hanno sostenuto questo messaggio a Dubai, ma i loro sforzi per garantire un accordo sull’eliminazione graduale dei combustibili fossili sembrano non avere successo.
La COP28 ha comunque avuto i suoi successi. In particolare, il primo giorno dell’incontro, i leader globali hanno istituito un “fondo per le perdite e i danni” per contribuire a pagare i danni causati dall’aumento degli impatti climatici. Il fondo ha raccolto più di 700 milioni di dollari e, sebbene si tratti di una somma considerevole, è solo una minima parte di quanto sarà necessario.
(Foto di Palácio do Planalto su flickr)
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