Si è concluso ieri il ciclo di programmazione nelle sale italiane del documentario Almost Nothing, che racconta la vita al Cern di Ginevra. Il titolo (in italiano “quasi nulla”) non si riferisce ovviamente a ciò che riempie le giornate lavorative degli scienziati, ma è invece una possibile e iper-sintetica risposta a una delle domande principali su cui si interroga la scienza: di cosa è fatto l’universo? Considerando che di quel “quasi nulla” si stima che conosciamo solo il 4-5 per cento, si viene pervasi da un certo sconforto.

Il rapporto tra pieno e vuoto è uno degli elementi narrativi ed estetici che tengono assieme il film. Il pieno brulicante della superficie (col personale in continuo movimento tra corridoi, uffici, sale mensa, centri di controllo, ecc.) e il vuoto a tratti inquietante del sottosuolo, dove si trovano, a decine di metri di profondità, gli enormi rivelatori di particelle che costituiscono gli strumenti concreti della ricerca.

Almost nothing non si propone esplicitamente come prodotto divulgativo, ma vuole più che altro ricostruire e far comprendere l’atmosfera con cui si lavora e ci si relaziona in un contesto così particolare. Si entra anche nel merito delle attività del centro di ricerca, certo, e si esce dalla proiezione con una maggiore chiarezza su come funziona il mondo della ricerca e su come questa può incidere sulle nostre vite. Un aspetto più volte citato nel racconto è il fatto che al Cern, tra un caffè e l’altro, fu inventato all’inizio degli anni ‘90 il World Wide Web, da Tim Berners-Lee. Considerando che lì dentro ci si occupa principalmente di fisica delle particelle, è notevole che da quello che si potrebbe considerare un “pensiero laterale” siano nati protocolli e strutture che hanno rivoluzionato la vita e il modo di ragionare di miliardi di persone.

Il Cern è il prodotto della volontà degli scienziati europei, dopo gli orrori dei due conflitti mondiali, di creare uno spazio di collaborazione libero e del tutto scollegato dalla politica e dall’industria. Come si legge nella Convenzione firmata a Parigi nel 1953, al primo comma dell’articolo II (citato anche all’inizio del film), il Cern deve occuparsi di «ricerca nucleare di carattere puramente scientifico e di base. L’Organizzazione non dovrà essere in alcun modo implicata in lavori con scopi militari e il risultato della sua ricerca dovrà essere pubblicato o comunque reso pubblicamente disponibile». Un progetto visionario e a suo modo “radicale”, che ha richiesto anni per essere sviluppato.

Il tipo di esperimenti che si fanno al Cern richiede infatti grandi spazi in cui costruire enormi infrastrutture. Lavori che richiedono anni per essere completati e messi a punto, prima di poter cominciare a far funzionare i macchinari. E come spiega uno dei protagonisti del documentario, il prototipo è anche la macchina su cui lavorerai, non ce n’è un’altra uguale. Potrebbe funzionare, ma anche no. Oppure potrebbe rompersi, come successo nel 2008 all’acceleratore di particelle LHC (ci sono voluti due anni per rimetterlo in funzione).

Secondo il sito del Cern, nel centro di ricerca lavorano oltre 12mila scienziati di 110 nazionalità diverse, provenienti da istituti di oltre 70 paesi nel mondo. «Se ti dimentichi nazionalità e religione, emerge la civiltà», è una delle frasi che si sentono nel film. Il conflitto è però parte della quotidianità al Cern. Quando ci si confronta su cose come “il funzionamento dell’universo” e “la natura dell’antimateria” è piuttosto difficile trovarsi tutti d’accordo. Eppure la creazione di questa grande comunità scientifica sembra favorire uno spirito di collaborazione e confronto civile, seppure in un contesto di grande competizione (dovuto, spiegano nel film, al fatto che è diventato raro avere un contratto a tempo indeterminato).

Difficile immaginare quali saranno i prossimi risultati del Cern, anche perché gli argomenti sono così complessi che per un non iniziato è arduo anche solo comprendere di cosa si sta parlando. Tuttavia, ciò che emana da Almost Nothing è la grande passione che muove chi lavora al Cern. Tutti gli scienziati intervistati appaiono consapevoli della grande opportunità rappresentata dall’esistenza di un centro del genere, e pieni di gratitudine verso chi l’ha fondato, per averlo fatto su pilastri etici che reggono anche dopo vari decenni.