Amnesty International ha pubblicato il report annuale sulla pena di morte nel mondo (che si può scaricare da qui). I dati hanno fatto registrare una diminuzione piuttosto sorprendente, a livello globale. Se infatti nel 2017 erano state registrate almeno 993 esecuzioni, nel 2018 sono state almeno 690. L’uso dell’avverbio “almeno” è dovuto al fatto che molti degli stati in cui ancora si applica la pena di morte sono regimi totalitari, e i dati sulla pena di morte sono segreti di Stato, o comunque c’è motivo di pensare che i numeri reali siano maggiori di quelli diffusi. Di seguito pubblichiamo una sintesi del rapporto, soffermandoci sugli aspetti più rilevanti.

Una tendenza incoraggiante, ma non uniforme

Sono state almeno 690 le esecuzioni registrate globalmente nel 2018 da Amnesty International, con una diminuzione nel valore complessivo rispetto al 2017 (almeno 993). Questo dato costituisce il più basso numero di esecuzioni che Amnesty International ha registrato negli ultimi dieci anni.

Tale riduzione è legata, in primo luogo, a valori inferiori per alcuni di quei paesi che avevano fatto registrare la maggioranza delle esecuzioni totali negli anni passati. A seguito degli emendamenti alla legge nazionale anti-narcotici, le esecuzioni di cui si ha notizia in Iran sono diminuite da circa 507 nel 2017 ad almeno 253 nel 2018, facendo registrare un decremento del 50 per cento.

Per quanto però vi siano stati riscontrati questi decrementi, l’Iran conta ancora più di un terzo di tutte le esecuzioni documentate e il 78 per cento di tutte le sentenze capitali sono state eseguite in solo quattro paesi: Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq.

Il numero delle esecuzioni in Iraq e Pakistan si è abbassato a circa un terzo dei rispettivi valori del 2017, da almeno 125 ad almeno 52 in Iraq e da almeno 60 ad almeno 14 in Pakistan. La Somalia ha dimezzato il totale delle esecuzioni, 13 nel 2018 rispetto alle 24 del 2017.

Ugualmente agli anni passati, i valori totali a livello globale non includono le migliaia di esecuzioni che Amnesty International ritiene che abbiano avuto luogo in Cina, dove i dati sulla pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato.

Alcuni stati, tuttavia, hanno forzato il trend generalmente positivo. La Thailandia ha eseguito la sua prima condanna a morte dal 2009 e altri paesi hanno presentato degli aumenti nel loro totale annuale, tra questi, Bielorussia, Giappone, Singapore, Stati Uniti d’America e Sudan del Sud. Hanno sollevato preoccupazioni ulteriori i considerevoli incrementi nel numero delle condanne a morte comminate in alcuni paesi, in particolare Egitto e Iraq. Dati rari, resi accessibili pubblicamente dalle autorità del Vietnam, hanno dato conto dell’estensione del ritorno alla pena di morte nel paese, collocandolo fra i maggiori esecutori a livello mondiale.

Dati incerti

Il segno “+” accanto al dato di un paese, per esempio Indonesia (48+), significa che Amnesty International ha avuto conferma di 48 esecuzioni o sentenze capitali emesse in questo paese, tuttavia ritiene ragionevole credere che il numero reale sia più alto. La presenza del solo segno “+”, per esempio Iran (+), indica che Amnesty International è a conoscenza che sono avvenute esecuzioni o condanne a morte (almeno più di una) ma non è stato possibile ottenere un dato attendibile.

Le esecuzioni nel 2018

Afghanistan (3), Arabia Saudita (149), Bielorussia (4+), Botswana (2), Cina (+),Corea del Nord (+), Egitto (43+), Giappone (15), Iran (253+), Iraq (52+), Pakistan (14+), Singapore (13), Somalia (13: Jubaland, 10, Governo federale, 3), Stati Uniti d’America (25), Sudan del Sud (7+), Sudan (2), Taiwan (1), Thailandia (1), Vietnam (85+), Yemen (4+).

La pena capitale nelle organizzazioni internazionali

  • Dei 35 paesi membri dell’Organizzazione degli stati americani, solo gli Stati Uniti d’America hanno eseguito condanne a morte.
  • Dei 57 paesi membri dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, solo la Bielorussia e gli Stati Uniti d’America hanno eseguito sentenze capitali.
  • Cinque dei 55 stati componenti dell’Unione africana hanno eseguito condanne a morte: Botswana, Egitto, Somalia, Sudan del Sud e Sudan.
  • Sei dei 22 stati membri della Lega degli stati arabi hanno eseguito sentenze capitali: Arabia Saudita, Egitto, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen.
  • Tre dei 10 stati facenti parte dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico hanno eseguito condanne a morte: Thailandia, Singapore e Vietnam.
  • Tre dei 53 stati membri del Commonwealth hanno eseguito sentenze capitali: Botswana, Pakistan e Singapore.
  • Due dei 58 stati parte dell’Organizzazione internazionale della Francofonia hanno eseguito condanne a morte: Egitto e Vietnam.
  • Giappone e Stati Uniti d’America sono stati gli unici paesi del G8 ad aver eseguito sentenze capitali.
  • In 19 dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite sono state eseguite condanne a morte nel 2018. In 174 (90%) non vi sono state esecuzioni.

Crescono gli impegni internazionali per l’abolizione

Il 17 dicembre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato, con un appoggio quanto mai alto, la settima risoluzione che chiede ai paesi che ancora mantengono la pena di morte, di istituire una moratoria sulle esecuzioni, con la prospettiva di abolire la pena capitale. Dei 193 stati membri delle Nazioni Unite, 121 hanno votato in favore della risoluzione mentre 35 si sono espressi contro e 32 si sono astenuti. Per la prima volta, Dominica, Libia, Malesia e Pakistan hanno cambiato il loro voto e hanno sostenuto la risoluzione, mentre Antigua e Barbuda, Guyana e Sudan del Sud hanno modificato il voto dall’astensione all’opposizione. Guinea Equatoriale, Gambia, Mauritius, Niger e Rwanda hanno votato, ancora una volta, a sostegno della richiesta di una moratoria sulle esecuzioni, per quanto non avessero fatto ciò nel 2016.

Il cresciuto appoggio alla risoluzione del 2018 costituisce un’indicazione aggiuntiva del fatto che il consenso globale si sta convogliando per consegnare la pena di morte al passato.

(Foto di Cecil su flickr)