«Perché uno dovrebbe restare se può fare lo stesso mestiere altrove con carichi di lavoro inferiori, meno vincoli e stipendi più alti? Non siamo competitivi con il privato, tantomeno con l’estero». A parlare è Chiara Serpieri, direttrice generale della Asl VCO (Verbano Cusio Ossola, in Piemonte), in un articolo pubblicato su La Stampa sabato scorso. Il riferimento è ai tanti infermieri che, in quella zona d’Italia come in altre, stanno accettando proposte di lavoro dall’estero che prevedono paghe ben più alte di quelle previste in Italia, oltre a condizioni più adeguate.
C’è chi lascia l’Italia per raggiungere paesi come il Regno Unito, il Belgio o la Germania. E c’è anche chi guarda alla Svizzera visto che chi vive in aree vicine al confine, come alcune province del Piemonte e della Lombardia, può accettare proposte di lavoro molto ben pagate, pur continuando a vivere in Italia.
Come abbiamo denunciato altre volte, l’Italia è infatti sempre più in difficoltà nel trattenere il suo personale sanitario. Dopo avere investito in lunghi percorsi di formazione, molte delle persone che ottengono titoli e competenze nel nostro paese decidono di spenderli all’estero. Questo perché le paghe in Italia restano molto basse, soprattutto nel settore pubblico, ma anche perché le condizioni di lavoro sono sempre meno accettabili. Per farsi un’idea basta leggere le tante storie raccolte dall’articolo citato. Si parla di turni di lavoro lunghissimi e a ritmi insostenibili, strutture costantemente sotto organico, ferie e turni di riposo che saltano, straordinari non pagati, oltre appunto alle paghe molto basse.
Il problema è delicato anche in prospettiva futura visto che, oltre a trattenere sempre meno giovani laureati, l’Italia fatica a portare studenti verso questo percorso di studi. Serpieri ha spiegato che nel Verbano Cusio Ossola si è riusciti a coprire a malapena la metà dei 40 posti a disposizione per il corso di laurea in infermieristica. Considerando che diversi dei laureati poi andranno a cercare lavoro altrove, diventa un problema per una struttura che, secondo uno dei sindacati, lavora costantemente con un deficit di personale infermieristico del 10 per cento. Non si tratta di un caso isolato: il problema è noto e discusso da tempo a livello nazionale, con intensità diverse a seconda dell’area geografica. L’estate scorsa il Sole 24 Ore scriveva di una carenza di 60-70 mila infermieri in tutto il paese.
A questo problema si aggiunge quello dei medici, che continuano a scarseggiare in diversi reparti (su tutti i pronto soccorso). I motivi sono simili a quelli degli infermieri: paghe troppo basse e condizioni di lavoro inaccettabili. In questo caso però, oltre alla fuga all’estero, il problema ha dato luogo al fenomeno dei “gettonisti”, ossia quei medici che escono dal sistema pubblico ma vi rientrano tramite cooperative che li mandano in corsia secondo turni e modalità che i medici stessi possono gestire molto più liberamente. Il tutto a spese del Sistema sanitario nazionale che, non essendo in grado di tenere sotto contratto i medici, è costretto ad “affittarli” a un costo orario molto più alto.
La Lombardia sta cercando di mettere un argine a questo fenomeno, e a dicembre ha emanato una delibera regionale che dovrebbe mettere fine al ricorso alle cooperative, giudicato troppo costoso. Al loro posto, è stato pubblicato un bando grazie al quale i medici potranno lavorare come liberi professionisti nelle strutture sanitarie, a condizioni più vantaggiose per il servizio pubblico. Secondo le interpretazioni raccolte dal Sole, probabilmente il passaggio dall’attuale al nuovo sistema sarà talmente graduale che il fenomeno dei gettonisti continuerà almeno per tutto il 2024. Staremo a vedere, anche se la misura è solo una pezza che non risolve il problema di fondo di un paese non in grado di dotarsi del personale medico necessario a prendersi cura della popolazione, peraltro sempre più anziana.
(Foto di Marcelo Leal su Unsplash)
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