«Antonio aveva capito che nel racconto dell’Europa qualcosa si era inceppato». L’ha detto Michele Nicoletti, ex presidente del Consiglio d’Europa e docente alla Scuola di studi internazionali dell’Università di Trento. Il riferimento è ad Antonio Megalizzi, 28enne morto il 14 dicembre a seguito delle ferite riportate nel corso dell’attentato di Strasburgo di tre giorni prima. «L’Unione non viene più percepita come la garanzia della pace, ma come un nuovo campo di battaglia – ha proseguito Nicoletti –. L’idea di affidare ai giovani la sfida di chiarire l’equivoco, attraverso una radio europea espressa da istituzioni terze come le università, è profonda quanto semplice. Ci metteremo al lavoro per realizzarla».
Sembra che la sua tragica morte abbia impresso un’accelerazione al progetto a cui Megalizzi lavorava da tempo. Speriamo che le dichiarazioni di questi giorni si traducano in impegni concreti, perché in questa Europa così in difficoltà c’è grande bisogno di condividere sogni e idee, partendo dai giovani. «Sono rimasto impressionato – ha aggiunto Nicoletti – da come in Italia, Paese che ha disinvestito sui giovani, cresca una generazione che conserva un eccezionale entusiasmo per l’Europa. Questi ragazzi europei, con una radio, possono davvero fermare l’offensiva di forze che puntano a demolire le istituzioni comunitarie».
Forse sorprenderà qualcuno sapere che tra migliaia di giovani europei circolano sentimenti di questo tipo. Il racconto che dell’Unione europea stanno facendo alcuni partiti politici (che godono di grande consenso tra gli elettori) negli ultimi anni è stato tutto incentrato sulle sue istituzioni. Per screditarle, per farle apparire come grigie espressioni di una pesante burocrazia che ha come obiettivo soprattutto salvaguardare se stessa. Ma anche se gli obiettivi degli attacchi sono sempre le istituzioni, non ci si preoccupa mai, o non abbastanza, di mandare messaggi positivi rispetto al progetto di un’Europa dei cittadini. Lo si dà per scontato forse. Eppure i cittadini hanno bisogno di istituzioni, e viceversa. Peraltro si tratta di istituzioni che l’Italia ha contribuito a creare, che dettano regole sulla base di codici che l’Italia ha contribuito a scrivere.
Quando si parla di una comunità, non esistono “i cittadini” come massa indistinta. L’Europa è una società complessa, che ha bisogno di regole perché al suo interno si muovono soggetti e interessi diversi e contrastanti. Bene dunque avere un approccio critico verso chi prende le decisioni, ma è pericoloso se dall’altra parte manca il contraltare di un atteggiamento costruttivo e positivo.
Gli articoli su Antonio Megalizzi, in questi giorni, si stanno concentrando sul suo “sogno”. Il che probabilmente non rende giustizia alla concretezza dei progetti che aveva in mente e per cui si stava impegnando. Ma aiuta a capire che c’è un modo diverso di pensare e agire. Che non è l’atteggiamento egoistico e meschino che questi tempi stanno sempre più legittimando. È un atteggiamento di comunità, in cui ci si preoccupa del fatto che tutti abbiano pari diritti e opportunità, a prescindere dalla specificità del proprio caso personale. È evidente il gioco al quale ci ha abituato la politica: promettere cose a più persone possibili, facendo capire che i sacrifici saranno chiesti a poche categorie, antipatiche e indesiderate. L’Unione europea nasce dal superamento di questa visione. È un progetto così avanzato che, in un’epoca in cui si fa leva sugli istinti più bassi dell’essere umano, abbiamo smesso di capirlo. E ne vediamo solo i difetti (che ci sono, ci mancherebbe).
In molti sui giornali hanno indugiato sui parallelismi tra la storia di Megalizzi e quella del suo assassino, suo coetaneo e mosso da ideali e sentimenti radicalmente opposti, sbagliati e tossici. Ma è altrettanto potente confrontare ciò per cui si impegnava Megalizzi e il clima in cui lo faceva. In un’Europa che perde pezzi, i cui membri sfidano ogni giorno regole e principi concordati, colpisce sapere che un ragazzo, un giornalista di 28 anni, aveva fatto 26 ore di autobus da Trento, chiedendo ospitalità a un amico polacco, per andare a Strasburgo a seguire la seduta plenaria del Parlamento europeo. Per raccontarla, per informare, per aiutare a capire. Questo non è sognare. È costruire.
(Foto di Sara Kurfeß su Unsplash)