di Cesare Raimondi

Non me ne vogliano i quattro neo senatori a vita, ma queste nomine proprio non le capisco. Perché coinvolgere nell’arena politica quattro personalità (seppure di grande prestigio) che, a mio avviso, sono molto più utili nel loro settore abituale di lavoro? Quale il segnale che si è voluto dare con questo gesto da parte del presidente Giorgio Napolitano? Si tratta di quattro poltrone che resteranno per lo più vuote, come lo erano prima, perché è noto che la media di partecipazione dei senatori a vita è mediamente molto bassa (ed è bene che sia così, lo ripeto, l’Italia ha molto più bisogno di Elena Cattaneo, Carlo Rubbia, Renzo Piano e Claudio Abbado nei rispettivi settori di competenza, non al Senato). Quattro poltrone che però ci costeranno come se fossero sempre occupate, ossia circa 25mila euro (lordi) a testa al mese, in totale quindi 100mila euro: un milione e 200mila euro all’anno. Semplicemente uno sproposito, se pensiamo a quante cose più importanti si potrebbero fare con quei soldi.

Non sono cifre che cambieranno la vita ai diretti interessati, che hanno di certo meritato sul campo trattamenti economici adeguati. Invece potrebbero cambiarla a qualcun altro. Ed è questo l’appello che mi sento di fare direttamente a loro, se vogliono dimostrare di avere davvero a cuore il destino del nostro Paese: non accettate quei soldi. Restituiteli, oppure, meglio ancora, impiegateli in un progetto ben preciso. Fate sì che questa inutile nomina abbia un senso. Scegliete una causa comune, istituite un fondo a cui far partecipare anche gli altri senatori a vita (al momento ce ne sono altri due in carica, Carlo Azeglio Ciampi e Mario Monti), alimentatelo con i soldi ricevuti dallo Stato e trasformatelo in qualcosa di utile per la collettività.

In un momento critico per l’Italia e per la politica in generale, che sta vedendo messa in dubbio la sua credibilità, non c’era bisogno di questo ulteriore affondo da parte di un presidente come Napolitano che, pur nel profondo rispetto dei principi costituzionali e delle sue prerogative istituzionali, ha già influito pesantemente sugli equilibri politici attuali. È già capitato in passato, non molti anni fa, che i senatori a vita avessero un ruolo determinante per la tenuta o la caduta di un governo. Visto il contesto di incertezza, dove numeri e schieramenti sono talmente confusi da non permettere di immaginare con chiarezza quali saranno gli scenari politici del prossimo futuro, non si è pensato alla possibilità che quelle esperienze possano ripetersi, e al ruolo che queste quattro figure potrebbero trovarsi (loro malgrado) a ricoprire. Persone che, con tutto il profondo rispetto che ribadisco, nessun cittadino ha eletto. Non si sono candidati, non hanno partecipato alla campagna elettorale, non hanno guadagnato le preferenze dei cittadini, eppure ora sono lì, a rappresentarci. Per carità, con la legge elettorale attualmente in vigore tale riflessione si può estendere a tutto l’emiciclo del Senato (come della Camera), ma la sostanza non cambia.

Gli ultimi anni della politica italiana hanno dimostrato che c’è bisogno soprattutto di competenze, più che di personalità, per amministrare la cosa pubblica. Le personalità hanno già fatto abbastanza danni, non ce le possiamo più permettere. E comunque, ripeto, si tratta principalmente di un enorme spreco di denaro pubblico, perché statisticamente, nelle ultime tre legislature, i senatori a vita hanno partecipato all’11 per cento delle votazioni a cui erano chiamati a prendere parte. Anche a voler dimenticare le riflessioni di cui sopra e ragionare sulle quantità, ci pare un po’ pochino per giustificare la spesa.