In questi giorni sta conoscendo un’accelerazione la campagna, attiva da alcuni mesi, per dichiarare il volontariato patrimonio immateriale dell’umanità. Il comitato che promuove l’iniziativa ha infatti scritto una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi affinché il 5 dicembre, in occasione della Giornata mondiale, dichiari il 2022 anno del volontariato.

«Dichiarare il 2022 anno del volontariato non comporta costi allo Stato. Non servono soldi. È solo porre al centro dell’attenzione il ruolo prezioso e insostituibile del volontariato», hanno detto Emanuele Alecci e Riccardo Bonacina portavoce della Campagna per il riconoscimento del volontariato a bene immateriale Unesco.

Proprio il 5 dicembre partirà la campagna di sensibilizzazione internazionale per l’iniziativa “Youmanity”, volta ad assicurarsi il riconoscimento dell’Unesco. In quell’occasione, saranno riuniti online i responsabili europei del volontariato per presentare loro la campagna. Dietro la campagna c’è il comitato editoriale del magazine Vita, a cui era stata inizialmente presentata il 18 ottobre.

Le adesioni alla campagna saranno raccolte dal sito dedicato a partire dal 5 dicembre.

Ma della candidatura del Volontariato a bene immateriale dell’umanità si parla già da tempo. Tra i commenti favorevoli quello di Gabriella Civico, direttrice del Centre for European Volunteering. «l volontariato – ha spiegato – ricopre un ruolo cruciale nella nostra società, consentendo a molti di essere coinvolti in modo proattivo nelle comunità, e di essere di sostegno a coloro che sono nel bisogno». Tuttavia, «spesso i volontari e le organizzazioni non ricevono il giusto valore e riconoscimento per tutti i loro sforzi. Ecco perché credo, allora, che fare del volontariato un patrimonio culturale immateriale dell’Unesco significherebbe riconoscere e valorizzare gli sforzi, la passione e la dedizione non solo di tutti i membri delle nostre comunità coinvolti in attività di volontariato, ma anche di quelli compiuti dalle organizzazioni stesse e dalle società che offrono sostegno alle infrastrutture di volontariato».

Nelle scorse settimane è comparsa un’interessante riflessione di Stefano Zamagni sul ruolo del volontariato nella società. Parlando dello spazio riservato al volontariato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, Zamagni nota che «La missione numero 5, a cui vengono assegnati circa 20 miliardi (senza considerare le risorse di React-Eu e del fondo complementare che portano il totale a circa 30 miliardi) praticamente non considera il volontariato, termine che fra l’altro in tutto il documento ricorre appena tre volte».

Per spiegare l’importanza del ruolo del volontariato nella società, Zamagni fa riferimento alla pandemia e ai concetti di preparazione e prontezza (in inglese preparedness e readiness rispettivamente): «Le misure per assicurare la prima rientrano nel quadro della prevenzione sanitaria e sono compito del government, cui spetta l’emanazione della norma giuridica. Sono invece a libera scelta i processi che valgono ad assicurare la prontezza di risposta di una comunità nei confronti dell’accoglimento delle linee guida suggerite dal livello centrale. La prontezza dipende sia dal livello di health literacy della popolazione sia dalla relazione che si instaura tra il sapere del mondo scientifico e il sapere esperienziale dei cittadini (la citizen science). Non basta dunque che le comunità siano preparate (compito questo che deve essere svolto dalle autorità centrali e locali), devono anche essere pronte a rispondere spontaneamente a eventi gravi come le pandemie. Tale prontezza dipende dalle capacità di innovazione sociale dei corpi intermedi della società, primi fra tutti degli enti di volontariato. Il che è quanto non è avvenuto nel nostro Paese, dove i mondi vitali della società sono stati irresponsabilmente tenuti in disparte nella governance della crisi. (Per essere chiari, il Comitato Tecnico Scientifico nazionale si è occupato, e pure bene, della preparazione, ma non della prontezza, perché non ne aveva titolo). Molti errori e tante sofferenze si sarebbero potuti evitare se si fosse compreso che la preparazione non assicura, di per sé, anche la prontezza».

(Foto di Rémi Walle su Unsplash )

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