Tra circa due mesi e mezzo ci saranno le elezioni europee. Coerentemente, ci si aspetterebbe di vedere una campagna elettorale che si occupi di temi europei, internazionali, delle politiche comunitarie su cui i rappresentanti che eleggeremo saranno chiamati a decidere.
L’attualità purtroppo ci restituisce una realtà molto diversa, in cui le elezioni europee sono vissute più che altro come una “resa dei conti tra partiti”, come recita il titolo di un articolo di Alessandro Calvi su Internazionale. Le ultime settimane sono state dominate dalla politica locale. Prima le elezioni regionali in Sardegna, poi quelle in Basilicata, ora la questione del possibile scioglimento del comune di Bari per mafia.
Non che non siano questioni importanti, intendiamoci. Ma sarebbe bello se, con la stessa scioltezza con cui la politica (e con essa il sistema mediatico) è in grado di elevare a tema nazionale questioni prettamente locali, si fosse in grado di portare nel dibattito nazionale le questioni internazionali.
Altrimenti, comunque, sono queste ultime a presentarsi alla porta. L’abbiamo visto con la “crisi migratoria” del 2015-16, con la pandemia, con la guerra in Ucraina, con quella a Gaza. Il problema è che, se non si parla mai di politiche comuni, di come si pone l’Italia rispetto alle questioni energetiche, all’allargamento dell’UE, così come ai trasporti, alle politiche per il digitale, all’agricoltura, poi si arriva impreparati.
Si parla di questi argomenti solo quando succede qualcosa per cui è inevitabile esprimersi, e allora si tratta sempre di “frasette” lapidarie, promesse determinate quanto vaghe e presto dimenticate (da chi le fa così come da chi le ascolta).
Per esempio la protesta “dei trattori” ha sollevato una questione molto delicata, ossia il sistema di agricoltura che l’Unione europea da decenni tiene in vita, e che senza i fondi europei sarebbe insostenibile. Quello agricolo è uno dei capitoli su cui l’Europa spende di più, per finanziare gli agricoltori e per garantire loro agevolazioni fiscali. Si può discutere del fatto che non sia abbastanza, o che si possa correggere il tiro, ma se qualche giorno di protesta è bastato per dipingere l’Europa come la fonte di tutti i mali del settore e per mettere in discussione le misure per rendere la nostra economia sostenibile, vuol dire che qualcosa non ha funzionato.
Sono tutte occasioni perse di elaborare delle istanze da presentare agli elettori, con l’impegno di portarle al Parlamento europeo una volta eletti. E invece, anche da parte delle forze più “europeiste”, la tentazione di rispondere colpo su colpo alle provocazioni delle altre forze politiche finisce per oscurare qualunque tentativo di dare vita a una campagna elettorale che serva davvero ai cittadini per farsi un’opinione, per dare un senso al proprio voto che vada oltre le dinamiche nazionali. Il Parlamento europeo è il luogo in cui si costituiscono alleanze, in cui si dialoga a partire dai temi e dai programmi, non della nazionalità o delle scaramucce di partito.
(Immagine da freepik)
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