Passeggiando per Bologna, in questi giorni, chi scrive si è accorto di quante librerie espongano sulla porta d’ingresso, stampata a mo’ di locandina, la prima pagina della sezione Cultura del Sole 24 Ore di alcuni mesi fa, quella in cui la testata di Confindustria proponeva il manifesto “Niente cultura, niente sviluppo”. Cinque punti in cui la redazione di via Monte Rosa proponeva la propria idea di creazione di sviluppo attraverso la cultura, e non nonostante, come spesso sembra essere intesa. Evidentemente quell’appello è sentito come ancora vivo e inapplicato da chi si occupa di cultura in città, e sicuramente ciò non accade solo nel pur vivacissimo capoluogo emiliano.
È proprio tale fermento che ribolle nel nostro Paese a provocare azioni come le occupazioni, spesso liquidate come questioni di ordine pubblico. In realtà sono fenomeni molto più complessi, che talvolta sono accolti anche dalla stampa più generalista come legittimi. È il caso del Teatro Valle, occupato dai lavoratori dell’arte esattamente due anni fa (era il 14 giugno 2011), che piano piano si è strutturato, ha dato il via a una raccolta fondi per costituire una fondazione, e da allora non ha mai interrotto la programmazione, arrivando a ospitare i più grandi artisti in circolazione, del teatro ma non solo. Tutti coloro che ci sono passati hanno lanciato messaggi di solidarietà, nel silenzio della politica. Quella del Valle non è la sola esperienza italiana di occupazione e gestione di uno spazio pubblico altrimenti vuoto e destinato all’abbandono. Un momento: con questo tipo di attivismo si promuove lavoro attraverso la cultura. Se si può fare con pochi mezzi e tanta buona volontà, figuriamoci con una vera intenzione di sostegno e programmazione delle attività.
Una riflessione che andrebbe approfondita, ma qui vogliamo invece parlare delle realtà analoghe che si sono sviluppate nel Paese, e lo facciamo consultando l’ebook pubblicato da Silvia Jop (antropologa e nipote di Franco Basaglia), dal titolo “Com’è bella l’imprudenza” (scaricabile gratuitamente da qui). Nel libro sono contenute le storie relative al Nuovo Cinema Palazzo e al Teatro Valle Occupato (Roma), al Ricreatorio Marinoni (venezia), al Teatro Coppola (Catania), alla Balena (Napoli), a Macao (Milano), al Teatro Garibaldi (Palermo) e al Teatro Rossi Aperto (Pisa). Luoghi dove, scrive l’autrice, «le passioni sono il motore dell’inveramento di un altro mondo che uscendo dal terreno dell’ipotesi si fa direttamente realtà». I protagonisti di tali occupazioni mostrano peraltro una consapevolezza che forse molti non si aspettano rispetto all’importanza della gestione dei beni culturali. Lo rileva Ugo Mattei nell’introduzione: «Mi ha emozionato scoprire in tutti i contributi qui raccolti, nessuno dei quali credo frutto della penna di un giurista, una straordinaria consapevolezza della portata costituente dei beni comuni, un argomentare padrone di una narrazione non facile, che ancora molti non sanno utilizzare o comprendere nella sua reale fenomenologia».
Ciò che sta succedendo, insomma, non è né una ragazzata, né un semplice susseguirsi di reazioni a stimoli esterni. Va invece configurandosi una rete con una sua progettualità, seppure ancora non dichiarata né unitaria. «Non possiamo metter limiti a quelle che sono le nostre ambizioni -continua Mattei-, perché farlo sarebbe semplicemente privo di senso. Abbiamo dato vita a un processo rivoluzionario dal basso che sta consolidandosi e che si prepara ad occupare sempre nuovi spazi. Nessuno può guidarlo e nessuno può determinarne gli esiti. Ma tutti possiamo contribuire, dedicandogli la nostra vita, a farlo trionfare in spazi piccoli o grandi che siano». Non vorremmo che l’occupazione sia la via maestra per una nuova stagione culturale in Italia. Sarebbe bello non avere bisogno di occupare, ma intanto vi invitiamo a leggere le storie di queste esperienze nate da esigenze non più rimandabili e, se vi capita, a frequentare la loro proposta culturale.