Il decreto “Sostegni”, approvato il 19 marzo dal Consiglio dei ministri prevede, tra le altre cose, la cancellazione di «tutte le cartelle esattoriali fino a 5 mila euro (compresi sanzioni e interessi), non riscosse tra il 2000 e il 2010 – si legge su Lavoce.info –. La cancellazione varrà per tutti gli evasori che al 2019 avevano percepito un reddito inferiore ai 30 mila euro». Per un governo il cui profilo è ancora in fase di svelamento, inserire un condono in un decreto-legge (le cui misure dovrebbero essere caratterizzate da necessità e urgenza) è un atto che dice molto sulla sua natura politica, e non solo tecnica. Questo perché non vi è alcune evidenza “tecnica” sull’efficacia dei condoni nel ridurre l’evasione fiscale, o alleggerire i compiti della pubblica amministrazione, o sostenere i contribuenti. Si tratta di dire addio a crediti in parte ancora esigibili da parte dell’erario, presentando come un “sollievo” una misura che ha molti più contro che pro. «Come ha riassunto in estrema sintesi una relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze uscita qualche anno fa – scrive ValigiaBlu –, i benefici dei condoni sono spesso “riflessioni meramente teoriche, non supportate da evidenze empiriche”. “In un’ottica comparatistica, gli svantaggi derivanti dall’utilizzo degli istituti perdonistici tributari sono di gran lunga superiori”, scriveva il Mef nel 2013».

Del resto, l’Italia ha sempre fatto ampio ricorso ai condoni fiscali che, seppure raccontati sempre come misure eccezionali e una tantum, sono diventati parte integrante della prassi politica del Paese. «Uno studio della Banca d’Italia del 2010 – quando il governatore era proprio Draghi – aveva calcolato che dall’unità d’Italia a quella data erano stati fatti 82 condoni fiscali, 25 dopo il 1973 – riporta ValigiaBlu –. “In particolare, cadenza pressoché decennale (1973, 1982, 1991 e 2002) ha assunto il cosiddetto condono ‘tombale’, vale a dire la sanatoria dei rapporti d’imposta accertati e non”, ha scritto Banca d’Italia. “Ne è risultato che, dal 1970, pressoché tutti gli esercizi finanziari sono stati coperti da sanatorie relative all’Iva o alle imposte sui redditi. Da strumento per gestire passaggi riformatori il condono è così diventato un mezzo per raccogliere risorse e per tagliare i ricorrenti nodi gordiani di un contenzioso periodicamente intasato”».

Una cosa da apprezzare, forse l’unica, come sottolinea Paolo Balduzzi su Lavoce.info, è che Mario Draghi nella conferenza stampa di presentazione del decreto non ha usato il solito repertorio di espressioni usate di solito per descrivere in altri termini questo tipo di provvedimenti. Niente “pace fiscale”, “rottamazione” o altro: ha parlato in maniera esplicita di condono. Gli esperti della comunicazione politica avranno storto il naso, i cittadini forse avranno apprezzato la chiarezza dei termini, per una volta.

Difficile stabilire con precisione di quanti soldi stiamo parlando. Secondo l’Agenzia delle entrate, il valore potenziale di tutti i crediti dell’erario per il periodo 2000-2010 ammonta a 343,1 miliardi di euro. Di questi, «Secondo le elaborazioni di Lorenzo Borga per SkyTg24, nel complesso il governo Draghi condonerà fino a 58 miliardi di euro», scrive ValigiaBlu. Secondo la relazione tecnica del provvedimento, però, il costo per lo Stato sarà di poco più di 666 milioni di euro da qui al 2025, considerando evidentemente tutto il resto come un credito ormai inesigibile.

Ma vediamo i motivi per cui, secondo Balduzzi, questo condono (così come praticamente qualsiasi altro) non è una buona idea. Il primo è piuttosto intuitivo. Se ogni governo propone un condono, il messaggio che arriva ai “contribuenti” è che alla fine non pagare multe e imposte conviene, perché prima o poi saranno cancellate. Per contro, si contribuisce a far salire rabbia e frustrazione tra la platea di coloro che invece pagano regolarmente, con tutti i sacrifici che questo comporta. Il secondo motivo è legato a quanto si diceva poc’anzi, ossia al fatto che questo condono è solo l’ultima occasione tra le tante di cui gli evasori avrebbero potuto usufruire per non saldare il proprio debito. La terza motivazione è che non si capisce come delle cartelle che datano tra i dieci e i vent’anni possano essere inserite in un provvedimento che, come dicevamo, dovrebbe riguardare materie urgenti. Il quarto motivo è che il fisco avrebbe potuto semplicemente smettere di occuparsi di queste cartelle, come già evidentemente non stava facendo (se no non sarebbe passato tutto questo tempo): perché cancellarle? Quinto motivo: essendo un decreto legge, il provvedimento dovrà passare dal Parlamento dove, data la larghissima coalizione che sostiene il governo, per esigenze di tenuta (e di consenso) l’Aula potrebbe cercare di ampliare le soglie finanziarie e temporali del condono.

(Foto di Frauke Feind su Pixabay)

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