Siamo abituati a pensare che il numero di persone che soffrono la fame nel mondo sia in costante diminuzione. E in effetti è stato così per almeno dieci anni, dal 2005 al 2015. Poi il numero ha ripreso a crescere, e sembra destinato a continuare. Secondo i dati pubblicati dalla Fao (Food and Agriculture Organization) e diffusi da Openpolis, il numero di persone denutrite nel mondo è sceso dagli 825,6 milioni del 2005 ai 629 milioni del 2014. Da lì in poi il dato è risalito, lentamente ma costantemente, fino a raggiungere i 688 milioni di persone nel 2019, ultimo dato disponibile. E la proiezione per il 2030 dice che per quell’anno il numero di persone che soffrono la fame potrebbe salire a 841,4 milioni.

Il quadro è paradossale, oltre che drammatico, per diversi motivi. Innanzitutto perché il trend si è invertito nel 2015, proprio l'anno in cui l'Onu ha stabilito gli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030. Il secondo di questi si chiama "Fame zero" e prevede, al primo punto, «Entro il 2030, porre fine alla fame e garantire l'accesso a tutte le  persone, in particolare poveri e le persone in situazioni vulnerabili,  tra cui i bambini, a cibo sicuro, nutriente e sufficiente per tutto  l'anno». Un aspetto che preoccupa ulteriormente è che la proiezione elaborata dal rapporto Fao non tiene conto della pandemia in corso, che, sommata a problemi quali emergenza climatica, guerre, instabilità politica, sottosviluppo economico e altre cause potrebbe ulteriormente aggravare la situazione.

«È proprio partendo da questi presupposti che a luglio 2020, la Fao ha lanciato l'allarme cercando di portare l'attenzione della comunità internazionale sul tema della sicurezza alimentare pubblicando il suo Programma globale di risposta e ripresa dall'emergenza COVID-19 – spiega Openpolis –. Per sostenere l'iniziativa l'organizzazione ha chiesto ai paesi membri un investimento iniziale da 1,3 miliardi di dollari, da destinare a diverse aree di intervento».

L'Italia ha un ruolo di primo piano in questo piano, anche perché ha contribuito a lanciarlo: «In un primo momento ha contribuito al progetto con 1 milione di dollari di finanziamento, a cui ne aggiungerà altri 2 quest'anno. Ma al di là del piano economico, il fatto che sia stata l'Italia a lanciare il progetto e che il vice direttore della Fao sia un italiano pongono il nostro paese in una posizione centrale in questa iniziativa multilaterale. E questo soprattutto considerando il ruolo di presidenza del G20 ricoperto quest'anno dall'Italia».

L'impegno alla cooperazione

In generale, però, dal punto di vista dell'impegno alla cooperazione internazionale le cose non stanno andando benissimo. L'Italia si era posta l'obiettivo di arrivare a destinare a questa voce lo 0,3 per cento del reddito nazionale lordo entro il 2020. Secondo gli ultimi dati diffusi dall'Ocse, relativi a quell'anno, l'Italia ha mancato l'obiettivo, confermando lo 0,22 per cento del 2019.

L'Italia fa parte del Dac (Comitato di assistenza allo sviluppo), e come tutti i paesi membri si è impegnata a raggiungere un rapporto dello 0,7 per cento entro il 2030. Visto il trend degli ultimi anni non sembra che si stia andando proprio in quella direzione, anche considerando il traguardo intermedio mancato di cui si diceva prima. Il dato percentuale, peraltro, maschera il fatto che tra il 2019 e il 2020 c'è stata una riduzione dei fondi di 270 milioni di euro. Il valore non è cambiato perché, a causa della pandemia, il Reddito nazionale lordo è calato e quindi il rapporto è rimasto stabile.

(Foto da United Nations Photo su flickr)

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