Nell’Europa occidentale siamo abituati alle immagini delle proteste pacifiche di attivisti e semplici cittadini che si battono per le cause più diverse, dall’ambiente ai diritti umani. In altre parti del mondo l’attivismo ha un costo molto più alto, come spiega un articolo su Scienza in Rete.
Il 2021 sarà per sempre ricordato come l’anno della pandemia di Covid-19. Ma dovrebbe anche essere ricordato come l’anno colpito da una “epidemia di violenza” verso i “difensori dei diritti umani”, come ha ricordato recentemente The Guardian.
Secondo un’analisi dell’ONG irlandese Front Line Defenders (FLD), nel corso del 2021, sono stati uccisi più di 358 difensori dei diritti umani. Del totale, quasi il 60% era impegnato nella difesa della terra, dell’ambiente e dei diritti delle popolazioni indigene. I ricercatori di FLD hanno evidenziato che questo fenomeno non è isolato ma fa parte di un trend che dura ormai da anni. Nel solo 2021, questi atti di estrema violenza sono stati registrati in 15 paesi: Argentina, Brasile, Burkina Faso, Cile, Colombia, Ecuador, Guatemala, Honduras, India, Kenya, Messico, Nicaragua, Perù, Filippine e Thailandia.
L’area geografica caratterizzata dal maggior livello di violenza è stata l’America latina: spicca la Colombia con addirittura 138 omicidi accertati, ma preoccupano anche Messico e Brasile (rispettivamente a quota 42 e 27). Gli altri contesti rivelatisi pericolosi sono India (23), Afghanistan (19), Filippine (16), Guatemala (11), Nicaragua (10), Repubblica Democratica del Congo (9). Nel 26 per cento dei casi, la vittima era una persona indigena.
Il direttore del FLD, Andrew Anderson, ha specificato che la gran parte degli attivisti sono stati presi di mira a causa della loro opposizione ad attività economiche redditizie ma fortemente dannose per l’ambiente: costruzione di dighe, disboscamento illegale, progetti estrattivi senza controlli.
La Colombia è stata per anni in cima alla lista dei paesi più pericolosi per i difensori dei diritti umani: in parte a causa delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), le quali causarono fino al 2016 – anno corrispondente al loro scioglimento e all’accordo di pace con il governo – violenti conflitti per il controllo delle rotte di contrabbando e delle terre. Da allora, i gruppi paramilitari cercano di riempire il vuoto di potere lasciato dalle FARC prendendo di mira i gruppi indigeni, intenzionati a qualsiasi costo a difendere la loro terra d’origine. Molti di coloro che sono stati uccisi hanno passato anni ad affrontare quotidiane minacce e molestie a causa del loro lavoro: per esempio, nell’aprile 2021, nello stato messicano di Sonora, José de Jesús Robledo Cruz e sua moglie María de Jesús Gómez sono stati uccisi dopo aver organizzato una campagna contro la più grande azienda mineraria del Messico (Fresnillo corporation). Non era la prima volta che la coppia era stata presa di mira: nel 2017, sono stati rapiti e torturati da aggressori sconosciuti vestiti in uniforme militare. L’anno scorso, quando i loro corpi sono stati scoperti, una nota con i nomi di altri 13 attivisti era attaccata a uno di loro.
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(Foto di Vivian Morales C. su flickr)
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