
Due parole sono state ripetute fino alla noia negli ultimi anni come soluzione a tutti i mali portati dalla crisi: austerità e meritocrazia. Alcuni articoli di Francesco Daveri, pubblicati su Lavoce.info, sembrano mettere in dubbio questo assioma. Le politiche di austerity sono quelle che l’Unione europea ha imposto di adottare ai governi dei Paesi in più grave difficoltà economica, suggerendo tagli brutali della spesa pubblica in vista di un piano di avvicinamento al pareggio del bilancio pubblico. La seconda è quella che quegli stessi governi (su tutti quello italiano) hanno dichiarato di voler perseguire in tema di lavoro, introducendo maggiore flessibilità per i nuovi assunti nei primi anni di contratto.
L’austerity è stata un grande “livellatore al ribasso” dei livelli di assistenza ai cittadini da parte dello Stato. Il welfare è stato di molto alleggerito e sono aumentate le persone che hanno perso diritto all’assistenza, o si sono visti togliere pensioni e incentivi. Quindi, chi già era povero continua a esserlo e chi stava nella classe media ora sta un po’ peggio di prima. Chi stava bene, sta ancora bene (o meglio). Il problema è che, ora che si iniziano a intravedere spiragli di ripresa economica, il divario tra chi sta molto bene e chi è vicino (o sotto) alla soglia di povertà è destinato ad aumentare, perché i vantaggi della crescita andranno innanzitutto a chi occupa ruoli di alto profilo nel sistema economico. «Quando scende il reddito pro capite, aumenta sempre il numero di poveri», spiega Daveri . «Ma l’aumento della povertà in Italia è stato più che proporzionale rispetto alla perdita di Pil. Forse perché abbiamo un sistema di welfare che protegge tante categorie, ma non i poveri». Comunque non è solo l’andamento del reddito pro capite a influenzare la quota di poveri all’interno dei vari Paesi. Anche Paesi che hanno continuato a crescere, mentre il resto dell’Europa aveva a che fare con la crisi, hanno visto il proprio tasso di povertà crescere. «Nel Regno Unito, dove il reddito pro capite è salito quasi del 3 per cento, la quota delle persone a rischio povertà è anch’essa aumentata di circa 3 punti percentuali, dal 22 per cento del 2009 fino a sfiorare il 25 per cento nel 2013. In Svezia e Germania – due paesi che dal 2009 non hanno mai smesso di crescere (con Pil pro capite in aumento rispettivamente del 6,4 e del 10,3 per cento) – la crescita non è bastata a evitare un marginale aumento della proporzione dei poveri sul totale della popolazione».
Paesi in cui si è scelto di sacrificare l’obiettivo del pareggio di bilancio per garantire ai cittadini incentivi alla natalità e alla famiglia, come la Francia, sono riusciti ad arginare l’aumento dei poveri. Non è forse questo il risultato più importante per uno Stato? Perfino il Fondo monetario internazionale ha scritto in un suo studio che in certi casi può non essere sensato rincorrere a tutti i costi il pareggio di bilancio. «(“it is better to live with high debt than to pay it down”). Gli autori sostengono, inoltre – commenta Alessandro Cianci per Sbilanciamoci.info –, che la riduzione del rapporto debito/Pil debba avvenire fisiologicamente tramite la crescita economica (“allowing debt ratios to decline organically through output growth”) e, di conseguenza, non mediante tagli ai deficit. Non sfugge che l’avverbio utilizzato sia “organically”, che palesa come lo strumento ritenuto fisiologico con il quale ridurre il rapporto debito/Pil sia la crescita e come, diversamente, le forme di riduzione del debito effettuate tramite strette fiscali rappresentano piuttosto situazioni patologiche». Dichiarazioni che stridono con le politiche fin qui suggerite da parte del Fmi agli Stati che ha sostenuto concedendo credito. Un po’ come se un poliziotto dicesse che in certi casi rubare è giusto: se ne può parlare, ma più che il messaggio è la fonte a creare uno strano effetto.
Per quanto riguarda la seconda parola chiave, meritocrazia, in passato abbiamo già smascherato la sua origine e l’accezione negativa che ne ha dato il suo “inventore”. Daveri suggerisce in un suo altro intervento di guardare agli Stati Uniti e a ciò che ha prodotto in quella società una “iper-meritocrazia” supportata negli ultimi anni dalle nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Si citano i casi di Facebook, Google, Apple e Microsoft, in cui perfetti sconosciuti hanno raggiunto le vette più alte del mercato. E alla classe media, che vantaggi ha portato la tecnologia? «I frutti della rapida crescita economica di Internet sono entrati anche nelle tasche dei meno abbienti, ma al prezzo di un marcato aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Come dire che, tutti gli altri, la rivoluzione della turbo-economia globalizzata l’hanno al massimo vista in televisione o sullo schermo di un tablet (o del loro vecchio Pc)».