Mentre siamo in attesa della votazione alla Camera della legge sull’omofobia, prevista tra l’11 e il 14 luglio, ci interroghiamo su ciò che ancora c’è da fare al di fuori dei rami del Parlamento per ripulire per sempre la lingua italiana da questa brutta parola. Il più grande gay pride mai realizzato a Milano, quello dello scorso 25 giugno, ha segnato una svolta forse epocale nei rapporti tra l’amministrazione e la cittadinanza. Per la prima volta, infatti, la manifestazione ha avuto il patrocinio del Comune, e dal palco improvvisato in piazza del Castello si sono udite parole di apertura da parte dell’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino: «Milano può diventare un laboratorio per costruire buone politiche sul tema dei diritti civili», ha detto l’assessore, prima di aggiungere che «il registro delle unioni civili è nel programma della coalizione che si cimenterà subito con questo tema». Peccato che il sindaco Giuliano Pisapia non si sia fatto vedere, piccola stonatura in un sabato altrimenti perfetto.

Ma noi, come associazioni, cosa possiamo fare per stimolare questo processo di affrancamento da una visione vecchia e odiosa nei confronti dell’omosessualità? Forse, per prima cosa, smettere di pensarci. Quando anche nel mondo del volontariato un “outing” (anglismo che indica la confessione pubblica delle proprie preferenze) può fare scricchiolare certezze, mettere in discussione persone e idee, c’è da preoccuparsi. All’interno di Avis la discussione è sempre aperta, ognuno ha le proprie convinzioni ed è bene che le porti avanti, ma poi a contare sono i fatti, la realtà oggettiva. Se a noi importa della salute delle persone, i criteri di selezione devono andare in quella direzione, non in altre. E non solo nel momento dell’iscrizione e della donazione, ma nel complesso della nostra attività. Spesso, quando mi capita di fare interviste per scrivere gli articoli di questo blog, mi sento chiedere: «Interessante, ma questo che c’entra con l’Avis?». Beh, la risposta è che l’essenza di un’associazione non si esaurisce nell’articolo 1 dello Statuto. Soprattutto se questa associazione, nel corso di 76 anni di storia (84 a livello nazionale) è cresciuta, ha acquisito una personalità ed è riuscita a coinvolgere migliaia di persone nella sua attività (sul nostro sito trovate le statistiche di Legnano, per quelle nazionali cliccate qui). Man mano che si struttura e si definisce, un gruppo sente anche l’esigenza di dire la propria su ciò che ruota attorno al proprio mondo. Ma Avis è salute dei cittadini, i cittadini sono collettività, quindi problemi e istanze comuni, che hanno bisogno di rappresentanti e decisori, in una parola: politica.

Tornando indietro nel ragionamento, se davvero una possibile soluzione all’omofobia potrebbe essere il fatto di dimenticarsi che esista, smettere di pensarla come un problema, questo deve succedere in ogni momento della vita associativa. Se scegliamo un testimonial, un volto noto che si offre di rappresentarci, non ci deve interessare ciò che gli passa per la testa quando vede un uomo o una donna. L’unico aspetto davvero importante è che sia un esempio di salute, di rettitudine nelle abitudini. Che sia credibile come persona, non che la pensi come noi in tutto e per tutto. In nessun punto del consenso informato si chiedono gli orientamenti sessuali, ma solo eventuali rapporti a rischio. E quindi, non mettiamo “a rischio” rapporti proficui con personaggi a noi vicini per andar dietro a un politically correct intriso di ipocrisia e perbenismo.