Gioco d’azzardo e dipendenza sono concetti che da sempre vanno a braccetto. O, per lo meno, da quando il primo ipotetico giocatore di poker, roulette o slot machine ha sentito il bisogno di rivolgersi a uno psicologo, che ha riconosciuto un disturbo nel suo comportamento. Lo scorso luglio è entrata in vigore una legge che consente di giocare online con soldi veri, dando così il via a quello che negli ambienti dei giocatori si chiama cash game. Impressionante la cifra spesa nel solo mese di agosto dagli utenti per giocare d’azzardo su internet: in un solo mese gli italiani hanno puntato 900,2 milioni di euro.

Non vorremmo infastidire chi del gioco ha la passione, e magari riesce a coltivarla senza compromettere il patrimonio personale e familiare, ma ci concederete che un sito internet non ha niente a che fare con un casinò. Corriamo volentieri anche il rischio di risultare nostalgici, ma il gesto di recarsi fisicamente, in abito da sera, in un luogo deputato al gioco, acquistare le fiches, scegliere il tavolo, sedersi e mettersi a giocare, assieme ad altri giocatori e al croupier, sfidando la fortuna e la statistica, non riusciamo proprio a paragonarlo a una stanza in penombra, con una persona chiusa in solitudine (o, peggio, con la famiglia nell’altra stanza), in tuta e ciabatte, dopo una giornata di lavoro stressante, a cliccare compulsivamente sul pulsante “Gioca ancora” davanti a un tavolo verde fatto di pixel, assieme a un gruppo di giocatori-utenti messi più o meno nelle stesse condizioni, o magari generati dal computer. Un computer che però accetta solo soldi veri.

Al di là di queste immagini, la cui interpretazione ogni lettore potrà condividere o meno, ci lascia perplessi il fatto che di solito, quando lo Stato liberalizza questo tipo di giochi, lo fa per mettere le mani sui guadagni, tassandoli. Ma, e qui arriva il colpo di scena, negli ultimi anni i proventi da tassazione del gioco online sono addirittura diminuiti, a fronte di un aumento del giro d’affari del settore nel suo complesso (qui il grafico elaborato dall’associazione Azzardo e nuove dipendenze). Lo dice lo stesso Beppe Pisanu nella sua relazione in commissione Antimafia, che presiede, affermando che nel 2010 le entrate erariali da gioco d’azzardo «sono state pari a 8,733 miliardi di euro. Comparate a quelle dell’anno precedente, che registravano un totale di 8,799 miliardi di euro, sono diminuite di circa lo 0,8 per cento a fronte di un incremento della raccolta pari al 13 per cento». Se i conti non tornano è perché lo Stato, per lanciare il settore, ha scelto di applicare una tassazione ridotta, attualmente attorno al tre per cento. Peraltro si vanno a gonfiare le casse di un settore che può già contare su entrate che aumentano in maniera esponenziale -si prevede che nel 2011 il poker online possa arrivare da solo a circa sei miliardi d’incassi (fonte: studio Coop riportato da Vita in uscita oggi).

Le controindicazioni a questa ricetta che amplia l’area di gioco sono molteplici, denunciate dallo stesso Pisanu, secondo cui il gioco legale e illegale costituisce ormai una grave patologia sociale e una delle fonti principali di arricchimento della malavita: «Per ogni euro che entra nelle tasche dello Stato proveniente dal gioco lecito, ce ne sono almeno altri dieci che finiscono nelle tasche della criminalità organizzata». E ancora: «Le ludopatie sono una malattia sociale che colpisce soprattutto i più deboli e i giovani. Noi abbiamo i picchi più alti delle scommesse nei giorni a ridosso del ritiro delle pensioni. E nei casi di crisi questi fenomeni si accentuano». Insomma, per recuperare quelli che in termini macro sono pochi spiccioli, si rischia di aggravare fenomeni ad alto rischio, per combattere i quali già si affrontano investimenti importanti, che di questo passo non potranno che crescere. Il classico problema che esce dalla porta e rientra dalla finestra. Proprio oggi a Cassano Magnago (Varese) si terrà un incontro, dalle 17,30 alla Sala delle Candelabre, Villa Oliva, via Volta 15, con Dean Bedrina, giocatore di poker professionista che spiegherà i rischi della professione, sia quelli del gioco “old school”, sia quello online. Chiudiamo citando le parole di Bedrina, che data l’esperienza non può che essere una voce autorevole: «Sono un giocatore vecchio stampo, molto legato all’eleganza degli abiti, del posto. Non mi sento a mio agio con questo stile casual. Quando metto in guardia dai rischi della dipendenza vengo trattato come un fallito. Questi giovani rincorrono un sogno e queste aziende [di gioco d’azzardo online] sanno bene come vendere i sogni. Purtroppo, la gran parte si risveglia in mezzo agli incubi e a rimetterci sono spesso anche le famiglie. C’è sempre un modo per vendere denaro a una persona malata di gioco e gli interessi sono pazzeschi».