Sul tema del gioco d’azzardo si scontrano da tempo diverse fronde. Da un lato le nobili campagne di chi chiede una più severa regolamentazione della materia, per evitare l’istigazione al gioco soprattutto delle fasce più deboli; sullo stesso fronte chi chiede un maggiore impegno dello Stato per mettere in campo attività di aiuto alle persone che si sono spinte troppo in là nel loro rapporto con l’azzardo, fino ad avere problemi di ludopatìa tali da richiedere un’intervento psicologico specifico. Dall’altro lato quelli che potremmo chiamare i negazionisti, ossia coloro che sostengono che le cifre che descrivono le dimensioni del problema non sono attendibili, sono imprecise, sono male interpretate.
Quest’estate chi scrive si è trovato, per coincidenza, a recarsi in un Tabacchi di Mazara del Vallo (Trapani) per pagare una multa per divieto di sosta. La prima reazione dell’esercente è stata: «Non puoi passare più tardi? Ho un sacco di giocate da fare per i clienti e non posso farli aspettare». Alla mia risposta negativa, il ragazzo mi ha invitato ad accomodarmi su uno degli sgabelli ad aspettare, perché appunto le giocate avevano la precedenza. Nel frattempo, un signore sedeva curvo davanti a ciliegie, jolly e banane rotanti, inserendo continuamente monete. Alla cassa si avvicendavano donne e uomini per lo più oltre i 40 anni, presumibilmente. Tutti volti noti al tabaccaio, che illustrava i risultati delle giocate fatte a loro nome, dividendole in maniera imparziale tra «vincenti» e «non vincenti». Asettico, senza accompagnare con alcuna inflessione della voce le notizie. Come il bollettino di una guerra lontana, con i numeri degli aerei abbattuti da una parte e dall’altra.
I risultati erano accompagnati dall’elenco dei debiti delle giocate fatte, che si sommavano a quelle nuove, presentate dai giocatori nel momento in cui apprendevano i propri successi o insuccessi. Così, uno dopo l’altro -spesso uno contro l’altro, battibeccando brevemente su chi fosse arrivato prima- si succedeva a ritmo serrato la sfilata dei giocatori abituali. Nel frattempo, proseguiva la colonna sonora delle monete che tintinnavano dentro la slot del signore curvo. (Ammetto di non avere mai guardato direttamente verso di lui, so che a certi giocatori può dare molto fastidio, soprattutto se si convincono che lo sguardo di un estraneo sia causa delle sue continue perdite. In fondo ero lì per pagare una multa, ciò che contava era uscire indenne da quel posto con una ricevuta in mano). Finalmente, dopo circa mezz’ora arriva il mio turno, pago il dovuto all’erario ed esco, dopo aver visto passare qualche centinaio di euro sacrificati all’altare della speranza e dell’illusione.
Una lezione che avrei evitato volentieri, sinceramente, ma che mi ha reso più consapevole su una realtà che esiste e non può essere negata, né ignorata. L’episodio appena raccontato mi è tornato in mente leggendo l’intervista ad Aldo Nove pubblicata sul mensile Vita di settembre. Lo scrittore si occupa di gioco d’azzardo nel suo libro di recente pubblicazione, Bingo Italia, e durante l’intervista fa diverse riflessioni interessanti: «Non è tanto lo stare male, è il come e il perché si sta male che fa la differenza. Stare male succede nella vita. Si stava anche molto male nel Dopoguerra, ma c’erano una volontà, un’energia propulsiva, un’immaginazione positiva che davano un senso e una direzione allo stare male. Noi oggi non abbiamo immaginazione, e la mancanza di immaginazione si è mangiata sia la volontà sia l’energia. La nostra massima immaginazione e aspirazione è riuscire a sfangarla un altro giorno. Ma un giorno è un niente, un giorno vuol dire che domani mattina siamo da capo. Il giorno per giorno è la sconfitta della fantasia e della speranza, cancella l’idea di costruire un progetto di futuro».