Viviamo in un periodo storico in cui tutto sembra passibile di ritrattazione. Come se si confondesse la libertà (e il valore) di cambiare opinione con la deresponsabilizzazione verso ciò che si è detto o fatto. Come sempre, la politica offre gli spunti di riflessione migliori (o peggiori, fate voi). In questo periodo di incertezza sul futuro del governo e della legislatura, è come se dietro alla finzione di un dialogo tra le forze politiche ci fosse una frustrazione: perché gli eventi non stanno rispecchiando le attese di ciascuna forza politica, e si cerca allora di forzare la realtà affinché si adatti al modello. Non ci si confronta dunque sulcosa, ma sul sedi un eventuale dialogo. Come a dire: “prima voglio assicurarmi che un eventuale dialogo porti al risultato che io spero, poi mi siedo al tavolo a discutere”. Visto che, com’era prevedibile, questo atteggiamento non sta portando da nessuna parte, adesso tutti pensano a elezioni anticipate (è bene ricordare però che non sono le forze politiche a decidere, ma il presidente della Repubblica).
Per fare un parallelo, è come chiedere al mazziere di mischiare continuamente le carte finché non ci si trova con tutti i punti per “chiudere” a scala quaranta. E invece no, lo schema è molto semplice: prima accetti le regole, poi prendi le carte, e ti arrangi con quelle. Non vogliamo entrare in polemica con nessuno, ma viene in mente anche lo sfogo del capitano di una certa squadra di calcio, eliminata in maniera rocambolesca dalla Champions League. Al netto del rispetto verso un giocatore dalla carriera invidiabile, e dallo stato emotivo comprensibilmente alterato a seguito dell’eliminazione, è come dire che una partita andrebbe rigiocata finché non produce il risultato che si ritiene più “giusto” (per chi? Da che punto di vista?). È come se non si accettasse che esiste un prima e un dopo, e che non si torna indietro. Prima si scrivono le regole, dopo si gioca. Prima si comincia un confronto e si arriva a un risultato, dopo lo si commenta (ma non lo si mette in discussione).
Prendiamo il tennis, uno sport in cui questa dinamica si presenta in maniera ancora più netta. Lì non è il tempo a determinare la fine dell’incontro, bensì il match point. Giocati tutti i gamee i seta disposizione, se i giocatori sono in completa parità, si arriva a una situazione in cui uno dei due deve mettere a segno due punti di fila. Chi ci riesce per primo, ha vinto. Può succedere a seguito di un bellissimo scambio, a suon di colpi da maestro da entrambe le parti. Poi magari arriva l’errore, il caso: la corda della racchetta che salta, la pallina che sfiora la rete e cambia improvvisamente direzione, spiazzando l’avversario. Non sarà la conclusione migliore possibile, ma è l’unica e si deve accettare.
Uscendo dall’ambito sportivo, sembra che anche nel mondo della tecnologia si fatichi a comprendere questo concetto. Quante volte Mark Zuckerberg ha chiesto scusa per la gestione da parte di Facebook di dati personali, fake news, falsi profili, campagne d’odio propagate sul social network? Ogni anno Mr. Zuckerberg feels sorry per qualcosa, cancellando con un colpo di spugna il fatto che è proprio lui il responsabile delle politiche della sua azienda. Si può chiedere scusa, ma non si elimina la responsabilità di quanto fatto e deciso in passato. Ci si deve mettere in discussione. Ma per davvero, non solo dimostrandosi dispiaciuti e tirando dritto, fino al prossimo sorry. Altro esempio di questa strana tendenza potrebbe essere la dichiarazione dei redditi: quanti di noi vorrebbero rimescolare i numeri di entrate e uscite in modo da risultare a credito verso il fisco? Purtroppo non funziona così: si parte dai vari addendi e fattori e si arriva al risultato, non viceversa.
Allo stesso modo quando ci si informa: sempre di più si parte da una propria opinione o tesi su un fatto avvenuto e poi si cerca un articolo di giornale (talvolta ci si accontenta di un memedalla dubbia origine) che le confermi. Per dirne un’altra: non si rifà un processo finché non produce la sentenza che si vorrebbe. Oppure ancora, a proposito di prima e dopo in una decisione: se si firma l’armistizio, poi non si bombarda quello che era il nemico; se un gruppo armato dichiara la resa (come ha fatto l’Eta nei giorni scorsi), poi non organizza un attentato. Sono concetti banali, ovvi, ma molto attuali. E dovremmo farci caso a tutti i livelli: come cittadini, come persone, ma anche come organizzazioni o associazioni, Avis inclusa.
(Foto di Atomic Taco su flickr)