Sulle barriere architettoniche si è soliti fare confronti tra città più o meno virtuose, tra amministrazioni più o meno attente ai bisogni dei cittadini con difficoltà di movimento. Magari pensando che alla base sia previsto, per gli enti territoriali che fanno interventi, un rimborso totale o parziale da parte dello Stato. Raffaele Lungarella, su Lavoce.info ci informa che non è così da ormai 16 anni, e probabilmente la cosa si ripeterà anche nel 2017. È questo l’intervallo di tempo a partire dal quale i governi che si sono succeduti hanno smesso di rifinanziare il fondo, facendo sì che Comuni e Regioni, per rispettare la legge che impone loro di riconoscere un rimborso ai cittadini che realizzano interventi in edifici e aree private, abbiano dovuto prendere quei soldi dai propri bilanci.

In realtà poi non sempre gli enti locali si sobbarcano del tutto la spesa per la quale sanno già che non riceveranno un rimborso, dunque probabilmente ci sono persone che da molti anni aspettano di ricevere quanto spetta loro a seguito della costruzione di ascensori o rampe. Talvolta sono le Regioni ad anticipare ai Comuni parte delle cifra, facendo quindi ricadere sul proprio bilancio una spesa che per legge dovrebbe spettare allo Stato. «Il fondo per l’abbattimento delle barriere architettoniche è stato istituito nel 1989 con la legge n. 13 del 9 gennaio – spiega Lungarella –: dovrebbe concedere contributi a fondo perduto per la realizzazione di interventi per l’eliminazione delle barriere architettoniche all’interno degli edifici residenziali privati e in quelli pubblici e privati utilizzati come centri per l’assistenza agli invalidi. Le spese fino a 2.582 euro sono totalmente finanziate del fondo; se si supera questa cifra, e fino a 51.645 euro, la percentuale del contributo decresce per scaglioni di importo della spesa; l’ammontare massimo non può oltrepassare i 7.101 euro».

Nessuna distinzione di reddito, ma solo un incentivo statale orizzontale per chi decide di sostenere le spese per gli interventi. «Ogni anno i comuni raccolgono le domande e le inviano alle regioni di appartenenza, che a loro volta quantificano l’ammontare del contributo pubblico da richiedere allo Stato. I comuni si occupano anche del pagamento, agli aventi diritto, dei contributi statali, ricevuti tramite le regioni. La procedura per la quantificazione del fabbisogno deve essere eseguita anche negli anni in cui la legge di bilancio statale non stanzia nemmeno un euro; sarà così anche il prossimo anno, anche se non è previsto il rifinanziamento del fondo».

La legge dunque impone l’obbligo di pagamento agli enti locali, ma non impone allo Stato di stanziare i soldi necessari a rimborsare quanto anticipato. E la cosa, a meno che la legge di Stabilità non sia modificata dal Parlamento entro la fine dell’anno, è destinata a ripetersi anche nel 2017. «Il fabbisogno inevaso del prossimo anno si sommerà, quindi, a quello accumulato finora. Da un’indagine svolta dalle regioni, relativa agli anni dal 2010-2015, è risultato che per dare a ogni richiedente il contributo che gli spetterebbe occorrono 450 milioni di euro. Tolti i 150 milioni che le regioni dichiarano di avere tirato fuori dai loro bilanci, lo Stato dovrebbe stanziare 300 milioni per dare agli invalidi quello che la legge promette loro. Ma il fabbisogno complessivo è molto più alto: è dal 2001 che le leggi finanziarie statali non rifinanziano il capitolo di bilancio della legge 13/1989; e anche i fondi iscritti negli anni precedenti non sono mai stati sufficienti a pagare interamente le somme dovute a chi era stato ammesso a ricevere il contributo. È pertanto possibile che ci siano invalidi che aspettano ormai da venti anni di ricevere in tutto o in parte la cifra spettante».

La situazione è a dir poco inaccettabile, anche considerando che nell’economia di una legge di Stabilità, che muove miliardi, un fondo da 300 milioni di euro non dovrebbe essere impossibile da prevedere. Certo non ripianerebbe le lacune lasciate negli ultimi 16 anni, ma almeno si comincerebbe a mettere una pezza a una situazione che ha dell’imbarazzante. Sarebbe un atto quantomeno apprezzabile da parte di un governo che fin dall’inizio del suo mandato ha voluto sottolineare il proprio impegno per il sociale come tratto distintivo della sua attività. Città più accessibili sono città più civili, e sarebbe ora che lo Stato tornasse a dare il proprio contributo per fare sì che lo siano sempre di più.

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