L’attrice Jennifer Lawrence, tra le più famose e premiate del momento a Hollywood, ha scritto una lettera in cui protesta contro il gender gap, ossia la discriminazione economica tra lei e i suoi colleghi maschi. Non è una novità e non accade solo nel mondo del cinema, ma ha un certo peso il fatto che la questione sia sollevata da una persona molto nota. A dare avvio alla riflessione è stato l’attacco hacker che ha colpito la Sony nei mesi scorsi, che ha avuto come conseguenza la pubblicazione di dati riservati e dal quale l’attrice ha scoperto di avere ricevuto un trattamento economico molto meno vantaggioso in termini percentuali rispetto ai ricavi del film. Ai colleghi Bradley Cooper, Christian Bale e Jeremy Renner fu concesso il 9 per cento dei ricavi. Per Lawrence e l’altra protagonista femminile, Amy Adams, la percentuale fu del 7 per cento, senza nessuna ragione precisa. Ci rendiamo conto che sia magari difficile empatizzare con chi, comunque sia, si ritrova sul conto più soldi di quanti potrebbe mai spendere una persona “normale”, ma questo non cancella la gravità dell’atto, soprattutto se, com’è noto, questo costituisce una prassi diffusa nel mondo dello spettacolo.
Lo stesso accade in molti altri settori e non solo negli Stati Uniti, bensì più o meno in tutto il mondo, Italia compresa. Non si tratta solo, secondo Lawrence, di non riuscire nella contrattazione a spuntare le stesse condizioni degli uomini, bensì di una sorta di meccanismo interno che le impedisce di porsi nella discussione in maniera assertiva, per paura di sembrare scontrosa o di “fare la difficile”. Così le aspettative si abbassano a ciò che la controparte offre. Questo sta per cambiare: «Ho chiuso con il modo “adorabile” di dire la mia per continuare a essere piacevole – scrive l’attrice –. Al diavolo. Non credo di aver mai lavorato con un uomo in una posizione di potere che perda tempo a individuare la migliore strategia per farsi ascoltare. Viene ascoltato e basta». Il discorso si allarga poi a tutto l’universo femminile: «Siamo condizionate dalla società a comportarci così? […] Potremmo avere ancora una tendenza a esprimere le nostre opinioni in modo da non “offendere” o “spaventare” gli uomini?».
Altro tema difficile (anch’esso già noto) nel panorama lavorativo per le donne è la scarsa rappresentanza nei ruoli di più alto grado, anche qui valida ovunque e praticamente in ogni settore. In questo senso è molto interessante la campagna avviata dall’edizione britannica della rivista Elle, che dedicherà il numero di novembre al femminismo. In questo video si può vedere una serie di ricostruzioni di fotografie di luoghi del potere, dal quale sono stati rimossi, con programmi di fotoritocco, tutti gli uomini: ne escono dei quadri quasi vuoti. Aule parlamentari, studi televisivi, sedi di organismi internazionali, centrali di polizia: inevitabilmente, le foto di gruppo diventano inquadrature di ambienti desolati, con una o due donne sparse qua e là. È un gioco, ma rende bene l’idea della realtà.
La campagna di Elle invita a pubblicare sui propri profili nei vari social network la foto di gruppo del proprio “team di donne di successo”, accompagnato da un messaggio: «One woman’s success makes EVERY WOMAN STRONGER. More women for #morewomen #ELLEFeminism». Parallelamente, la testata sta promuovendo una campagna sulla discriminazione nel pagamento, dal titolo #makethempay, per invitare le donne a informarsi su quanto guadagnano i colleghi maschi che occupano la stessa posizione nella stessa azienda e, qualora riscontrino una differenza nel trattamento economico, a parlarne direttamente col capo. Una strategia che non va troppo per il sottile, ma che potrebbe finalmente scuotere il mondo del lavoro, portando alla luce i singoli casi di discriminazione dovuti solo al genere. Sarebbe interessante che anche le redazioni di altri Paesi condividessero queste campagne perché, ovviamente, queste funzionano se hanno alta risonanza.
Allo stesso tempo, sarebbe interessante vedere più coraggio e determinazione nella politica. Colmare il gender gap è un obiettivo che ogni Stato dovrebbe perseguire, impegnandosi a più livelli. La politica in questo ha un ruolo fondamentale. Trovare una soluzione valida che raggiunga lo scopo non è cosa semplice, ogni Paese prova a trovare la propria formula, correggendo il tiro man mano che i dati informano sull’impatto delle leggi approvate. Nel Regno Unito, il primo ministro conservatore David Cameron ha proposto l’obbligo per le grandi aziende di pubblicare la media degli stipendi dei dipendenti uomini e donne. Perché non provare a copiare esempi di questo tipo, senza aspettare che siano gli hacker a provvedere?