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Dopo gli scudi fiscali, sta provando a farsi largo nell’insidioso iter parlamentare un nuovo tentativo di intervenire sul rientro dei capitali depositati all’estero: la collaborazione volontaria (voluntary disclosure). Il principio questo provvedimento (già adottato da Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti) non sta, come nel caso dello scudo, nel proporre all’evasore un regime fiscale agevolato una tantum per fare in modo che questi sia invogliato a riportare il proprio denaro in Italia. Il dispositivo di legge farebbe leva su un altro elemento su cui si sta lavorando, ossia il miglioramento nello scambio di informazioni tra pubbliche amministrazioni, e quindi un maggior controllo. In sostanza, siccome si prevede che in futuro le comunicazioni tra Stati relative ai movimenti di denaro saranno automatiche e non più volontarie, si invita il cittadino a confessare volontariamente la propria posizione fiscale non regolare, infliggendogli una pena parzialmente ridotta (soprattutto convertendo in pene pecuniarie alcune sanzioni che sarebbero penali) ed evitandogli i costi aggiuntivi derivanti da un contenzioso con lo Stato.

In linea di principio, la collaborazione volontaria ha un approccio molto più rivolto al lungo periodo rispetto allo scudo. Quest’ultimo infatti, con le sue ridottissime aliquote, e con in più la garanzia di mantenere l’anonimato col fisco, può forse portare l’evasore a fare rientrare i propri capitali, ma l’intervento non è in alcun modo “rieducativo” per il futuro. Un tale meccanismo non spinge infatti verso un cambio di atteggiamento, e chi si è avvalso dello scudo quando ha potuto sarà forse invogliato a evadere anche in futuro, pensando di sfruttare un altro eventuale scudo in un secondo momento. La voluntary disclosure è invece una confessione vera e propria, con cui lo Stato propone all’evasore di fare i conti con il “poliziotto buono”, per evitare più avanti di affrontare quello “cattivo”, ossia i controlli e l’inevitabile contenzioso. In merito a quest’ultimo punto, spiega Gianpaolo Arachi su Lavoce.info, «L’impulso fondamentale è venuto dagli Stati Uniti con il Foreign Account Tax Complicance Act (Facta) che obbliga le istituzioni finanziarie estere a comunicare alle autorità fiscali statunitensi le informazioni sui conti esteri detenuti da clienti americani, pena l’applicazione di una ritenuta del 30 per cento su tutti i redditi di origine statunitense percepiti dagli intermediari. La svolta americana ha dato grande impulso all’iniziativa dell’Ocse, che lo scorso gennaio ha pubblicato un common reporting standard per lo scambio automatico di informazioni fiscali. Quarantaquattro paesi, fra cui l’Italia, si sono impegnati ad adottare lo standard Ocse entro il 2017».

Alla faccia di chi pensa che gli Stati Uniti non siano più un punto di riferimento per la politica mondiale, ecco un caso in cui la loro influenza esercita una ricaduta (meno evidente di quella militare, ma molto più interessante ed efficace, parrebbe) sui governi di decine di Paesi. Più modestamente, anche qui su ZeroNegativo abbiamo sempre proposto la logica della trasparenza e della fine del segreto bancario come via d’uscita da questo tipo di evasione. La politica del vecchio continente ama però muoversi solo quando non può più aggirare l’ostacolo. Arachi individua alcuni effetti collaterali che la via italiana alla voluntary disclosure potrebbe implicare: «Il reato di autoriciclaggio introdotto dalla norma riguarda non solo il trasferimento di redditi evasi all’estero, ma qualsiasi sostituzione o trasferimento di denaro (anche in Italia) proveniente da un delitto non colposo. Ricadono in questa categoria anche alcuni reati tributari, quali il già richiamato caso della dichiarazione infedele, che non derivano da una condotta fraudolenta. Si acuirebbe in questo modo quello che viene spesso indicato come uno dei principali fattori che scoraggiano gli investimenti nel nostro paese: il rischio che le controversie fiscali sfocino in un procedimento penale anche in assenza di un disegno evasivo intenzionale». Tutta da vedere l’efficacia della norma insomma, e molto del suo funzionamento dipenderà dalla credibilità che il governo e le istituzioni saranno capaci di mettere nelle sanzioni come deterrente per chi non collabora.