Le razze umane, lo sappiamo anche grazie al genetista italiano Luca Cavalli-Sforza, non esistono. Purtroppo però il razzismo esiste eccome, e in gradi e forme diverse si manifesta continuamente in tutto il mondo. Due studi fatti negli Stati Uniti hanno provato a indagare se l’insegnamento della biologia poteva avere un effetto positivo nello scardinare (o nel non fare sviluppare) pregiudizi razzisti negli studenti. Come spiega Gilberto Corbellini su ScienzaInRete, l’esperimento ha avuto esito positivo: «Gli insegnanti-ricercatori dello studio hanno fatto un paio di studi pilota su studenti dell’ottavo e nono anno (che nelle scuole statunitensi equivalgono alla fine delle scuole medie e l’inizio delle scuole superiori), ben costruiti sul piano statistico, dai quali si evince che se si insegna bene la variabilità biologica e la sua origine/funzione evolutiva agli studenti, e se li si guida a capire davvero le modalità attraverso cui geni e contesto ambientale concorrono a costruire il fenotipo, questi smettono spontaneamente di credere alle razze e controllano i bias razzisti. La loro ipotesi è che l’insegnamento della biologia e della genetica possa disinnescare il bias cognitivo essenzialista, con cui ogni individuo si approccia intuitivamente alla categorizzazione della variabilità naturale. Sarà vero? I revisori del progetto finanziato dalla National Science Foundation sono rimasti apparentemente colpiti dalla qualità e dagli obiettivi dello studio». La National Science Foundation è un’agenzia governativa statunitense che sostiene la ricerca e la formazione di base in tutti i settori non medici della scienza e dell’ingegneria. Per questo progetto « che studierà se si può effettivamente cambiare la percezione e le credenze sbagliate sul tema della razza, tra gli studenti delle scuole superiori, in modo da farne dei cittadini più informati e migliori», ha destinato un milione e 300mila dollari.

Il problema della razza lasciato alle scienze umane

Uno dei problemi relativi al razzismo rilevati da Corbellini riguarda il fatto che sia stato lasciato in mano principalmente a chi si occupa di materie umanistiche ha privato la discussione dell’importante apporto della biologia e della genetica. La colpa è anche della comunità scientifica, che finora ha sfruttato poco il suo potenziale divulgativo per affrontare la questione: «Mentre ci sono folle di scienziati o medici disposti correggere le disinformazioni sul cambiamento climatico, l’antivaccinismo, gli ogm, le superstizioni, eccetera – scrive Corbellini –, sono rari i genetisti disposti a esporsi per disinnescare sul piano scientifico la controversia sulla razza. Si possono persino trovare interventi di importanti genetisti che si chiamano fuori dalla disputa, o perché troppo polarizzante o pensando che sia troppo complesso riuscire a spiegarla al largo pubblico. Il che appare singolare considerando che i genetisti stanno pubblicando numerosi articoli che dimostrano l’enorme variabilità genetica e la difficoltà di separare la componente ereditaria da quella ambientale nella determinazione dei tratti complessi». Spesso il pregiudizio razziale discende dalla mancanza di strumenti cognitivi per affrontare fenomeni complessi. «L’aver lasciato il tema della razza nelle sole mani delle scienze umane non chiarisce i tanti dubbi e mispercezioni che possono affiorare negli adolescenti di fronte ad alcune semplici osservazioni, come il variare del colore della pelle fra popolazioni, o al fatto che alcune malattie sono più frequenti tra i neri o che l’80 per cento dei bianchi digerisce il lattosio mentre due terzi dei neri no, eccetera».

(Foto di Noah Buscher su Unsplash)