Secondo i dati di Coldiretti, in Italia il mercato del biologico è in espansione. Il giro d’affari complessivo nel nostro Paese è infatti di 3,1 miliardi di euro, il che ci pone al quarto posto in Europa (dopo Germania, Francia e Regno Unito) per questo tipo di produzioni. Ovviamente ci fa piacere che ci sia una maggiore attenzione al cibo e alla sua qualità, anche se temiamo che le truffe dietro a questo business (perché non si tratta di beneficenza) siano una percentuale molto grande dell’intero mercato. Lo rileva la stessa Coldiretti: «Nel 2013 il nucleo antifrode dei carabinieri ha ritirato dal mercato oltre 2 milioni di finte etichette biologiche e la guardia di finanza quasi 1 milione. In campo agroalimentare, negli ultimi due anni, il reparto specializzato dell’Arma ha inoltre sequestrato 17 mila tonnellate di prodotti irregolari, con 2.400 soggetti deferiti all’autorità giudiziaria, 36 milioni di illeciti finanziamenti comunitari accertati e sequestri di beni per oltre 10 milioni di euro. Nel corso delle verifiche sulle produzioni biologiche, i militari hanno anche posto sotto sequestro oltre 200 tonnellate di agrofarmaci illegali, per un volume di oltre 2 milioni di euro». E l’elenco continua.
Come abbiamo detto altre volte su questo blog – e come sottolinea Coldiretti – è importante, se si è in cerca di prodotti più sani, puntare alla filiera corta, ad acquistare prodotti (biologici) che vengono da coltivazioni vicine, magari di piccoli produttori, di cui si può conoscere la reale integrità etica nel lavoro. Scegliere il prodotto col marchio “bio” al supermercato è spesso il modo migliore per spendere di più senza necessariamente guadagnarci in salute, visto che molte volte dentro al packaging dall’aspetto rustico e tradizionale si nascondono gli stessi prodotti contenuti nell’anonima busta trasparente dei marchi più economici. Detto ciò, a colpirci è un altro dato, ossia che l’Italia, dove abbiamo l’amianto, la cosiddetta “terra dei fuochi”, la cementificazione che ogni anno “consuma” centinaia di migliaia di ettari di terreno agricolo, poi ci fregiamo di essere grandi produttori di alimenti biologici. Per non parlare del dissesto idrogeologico che si traduce in allagamenti, sfollati, morti e danni per milioni di euro ogni volta che dal cielo arrivano piogge oltre una certa soglia.
L’Italia ha un clima che favorisce l’agricoltura e ci permette di competere con Paesi molto più estesi in termini di superficie, ma ciò che manca è una coerenza di fondo sul tema della tutela ambientale e della produzione agricola. Si spinge l’acceleratore sul biologico perché la domanda è in aumento, ma se non c’è una cultura ecologista all’interno del Paese allora possiamo aspettarci (se non è già successo) che si disboschino intere aree per produrre soia e carote biologiche, dimenticandoci dell’importanza che gli alberi e la vegetazione abbattuta ricoprivano per l’equilibrio di quell’area. Allo stesso modo cerchiamo il bollino “bio” per sentirci a posto con la coscienza, ma non sappiamo che magari viviamo in un edificio che ha ancora parti di tetto o di tubature in amianto (nella sola Bologna, per citare un caso, si parla di 151 edifici in attesa di bonifica). O ancora, non ci rendiamo conto che il prodotto che stiamo acquistando è importato da un altro Paese, perché l’area su cui prima era coltivato è stata trasformata in cemento (nella sola Lombardia dal 1999 al 2007 si sono persi oltre 43mila ettari per oltre il 60 per cento tra i suoli a più alto valore produttivo). Pensiamo a tutto ciò, mentre celebriamo il successo del biologico italiano in Europa.