L’estate italiana è costellata di date tristemente note per altrettante stragi. Ustica, Bologna, e poi i magistrati siciliani: Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Rocco Chinnici. Di diversa matrice i moventi, le modalità, le vittime. Stragi unite dalla fine atroce riservata ai bersagli designati, nel caso dei giudici, ma anche ad altre decine di persone che non avevano alcuna colpa se non quella di trovarsi, come si dice, nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Oggi ricorre l’anniversario della strage di Bologna, che uccise 85 persone e ne ferì oltre 200. Un attentato per il quale sono stati individuati gli esecutori, ma non i mandanti. Ulteriore caratteristica che accomuna la maggior parte delle stragi italiane. A distanza di molti anni si arriva quasi sempre a mettere in manette chi si è sporcato le mani per eseguire gli ordini, ma il burattinaio resta inesorabilmente nell’ombra.

Un fatto che occorre sottolineare soprattutto oggi, dopo che Giorgio Napolitano ha sottolineato, in una nota del Quirinale a seguito del pronunciamento della Corte di cassazione in merito al caso Berlusconi-Mediaset, che «la via maestra è il rispetto della magistratura». Nello schierarci decisamente a favore delle parole del presidente della Repubblica, ci permettiamo però di far notare la dissonanza di questa frase se accostata all’andamento giudiziario dei casi citati. Nel totale rispetto della magistratura, pretendiamo infatti che questa insista nella ricerca della verità, anche a distanza di anni, per rispetto alle vittime, ai sopravvissuti, ai familiari e agli italiani in generale.

Di fronte al rischio della ritualità della commemorazione, che di anno in anno toglie forza al dolore e alla gravità dei fatti, l’amministrazione bolognese ha accolto la proposta avanzata su Repubblica dall’associazione Piantiamolamemoria -e sostenuta dal quotidiano- di intitolare per un giorno 85 vie del capoluogo emiliano ad altrettante vittime della strage. « Il sindaco Virginio Merola –scrive l’Ansa-, presentando le cerimonie, ha detto una cosa in più: un luogo di Bologna, come una piazza o un parco, a breve sarà intitolato in modo permanente e collettivamente a tutte le sedici vittime bolognesi della strage». Un’iniziativa lodevole, che riporta all’attualità quanto accaduto 33 anni fa.

Ma il lavoro sulla memoria è importante farlo tutto l’anno, non solo il 2 agosto. Per questo è interessante il lavoro che sta portando avanti Cinzia Venturoli, storica dell’Università di Bologna, che negli anni ha realizzato progetti, laboratori, documentari sulla memoria della strage, collaborando con studenti dalle elementari alle superiori. «“Spieghiamo ai giovani che cosa è successo -racconta Venturoli al sito Dazebao news-, e loro lo spiegano ai padri, che a volte ne sanno anche di meno”. […] Il progetto “Archivi per non dimenticare” mette in contatto giovani e testimoni diretti della strage. Delle vittime, dei loro nomi, della loro vita spezzata, dei sopravvissuti si continua a sapere pochissimo. Cosa facevano quel giorno alla stazione, dove stavano andando?».

Una risposta indiretta arriva dall’articolo di Gigi Marcucci per l’Unità: «La più piccola si chiamava Angela Fresu, aveva tre anni. Era alla stazione con sua madre Maria, di 24. Erano appena arrivate da Gricciano di Montespertoli, in Toscana. E a Gricciano erano immigrate dalla Sardegna. Maria, che essendo giovanissima viveva ancora insieme ai sette fratelli, quel giorno aveva deciso di andare sul lago di Garda, con la bambina e con l’amica Verdiana Bivona, anche lei immigrata, ma dalla Sicilia». Il pezzo fotografa quel momento, poco prima delle 10,25 del 2 agosto 1980, in cui 85 persone stavano per entrare nella storia, subendola. Perché qui non si tratta di martiri, ma di persone comuni, fino a un attimo prima che un boato li risucchiasse. Non conoscere i mandanti rende impossibile capire il perché di queste morti. Un martire, un soldato, un condottiero, tutti sanno per quale causa si stanno immolando, e questo dà senso al loro sacrificio. Non sapere, non capire, è come uccidere un’altra volta.