“Non parlate al conducente” è la rubrica curata dall’autista di autobus a Bologna Donato Ungaro, per il giornale di strada Piazza Grande, distribuito per le vie della Dotta dal 1993 (è il primo giornale di questo tipo in Italia, appena dopo viene il milanese Scarp de’ tennis, fondato nel 1994). Nell’ultimo numero del mensile l’autista-giornalista si è soffermato su un incontro fortuito, che ha generato una riflessione molto profonda e per niente scontata. Il titolo del pezzo è “Siamo soli”.
Al mio autobus, quando sono fermo ai semafori, non si avvicinano i mendicanti. Al massimo questi mi guardano sorridendo, ma non mi mostrano i loro cartelli con su scritto «Ho fame». Oppure «Ho perso il lavoro» e anche «Ho tre bambini piccoli». Sanno che difficilmente i finestrini di autobus e camion, ma anche dei furgoncini, si aprono per lasciar cadere qualche monetina nel bicchiere di plastica o nel palmo della mano. Ma qualche giorno fa, uno di quei cartigli mi ha colpito come una rasoiata sul labbro; non era in mano a un nomade, ma appoggiato a terra, sul pavimento di uno dei portici più esclusivi di Bologna: in via Farini. Non c’era scritta la solita e inflazionata frase di circostanza, per convincere chi ce l’ha a sganciare qualche monetina. Era davanti a un ragazzo che se ne stava buono buono a sedere per terra, su una coperta, con un cagnolino a fianco; aria povera ma pulita: non la miseria messa in scena per commuovere, bensì la dignità di chi non chiede soldi per mangiare, ma qualcosa di più importante del cibo e indispensabile per poter vivere. «Siamo soli», c’era scritto sul cartone.
Due parole semplici e terribili, più dense di significato di un’intera enciclopedia. «Siamo soli»; in pieno centro storico, a Bologna, a due passi dalla galleria Cavour e proprio di fronte al tribunale. «Siamo soli». Alla fermata dell’autobus, dove c’è un sacco di gente in attesa; eppure «Siamo soli». Nell’epoca di internet, di Facebook, di Twitter: «Siamo soli». Io e il mio cane, isolati da tutta questa gente che ci circonda e ci ignora: «Siamo soli». Non è il mangiare che ci manca, non è un posto per dormire; il guaio è che «Siamo soli». Perché la povertà, la discriminazione, ti toglie gli altri di torno, ti lascia solo col tuo cagnolino in mezzo alla gente; e quindi «Siamo soli».
Mi si è stretto lo stomaco a leggere «Siamo soli», mentre ero alla guida del mio autobus pieno di gente. È una sconfitta per la città, quel «Siamo soli». Perché se è facile dare una monetina, o un pezzo di pane, è ben più difficile dare un po’ di noi stessi. E allora «Siamo soli»: tutti quanti.