Il cosiddetto “bonus bebè” di 80 euro al mese per i primi tre anni di vita dei nuovi nati (se confermato dopo l’approvazione della Legge di Stabilità) riflette una politica già perseguita da altri governi negli anni scorsi. Ignorando gli studi che dicono che gli interventi di sostegno più efficaci sono quelli che facilitano l’accesso dei bambini ai nidi d’infanzia, in Italia si continua con i piccoli aiuti di Stato direttamente nel portafoglio dei contribuenti, che fanno più “effetto”. Il problema è che tali interventi comportano sempre un problema di redistribuzione (Quali sono le soglie che stabiliscono chi ha diritto e chi no?) e di efficacia (per una famiglia povera 80 euro al mese non risolvono i problemi, mentre per la classe media potrebbero costituire semplicemente un incentivo al risparmio).
Inevitabile pensare che ci sia anche una finalità “sondaggistica” in questa tipologia di aiuti. Mettendo soldi nelle tasche dei cittadini si spera probabilmente di fare breccia anche nel loro cuore. Ci aveva provato anche Silvio Berlusconi, quando nel 2005 inviò una lettera rivolta a tutti i nati in quell’anno, in cui si annunciava loro un bonus di mille euro. Anche Romano Prodi gli andò dietro promettendo, in caso di vittoria, un bonus di 2.500 euro. Peraltro, il costo di tali “bonus bebè” per lo Stato è altissimo (si parla di 1,5 miliardi di euro in tre anni), molto più di quanto non costerebbe trasferire ai Comuni i fondi necessari ad abbattere le rette e ampliare l’offerta dei nidi. «L’unica cosa è che fare di più di ciò che c’è già non permette di fare annunci in Tv», osserva l’economista Tito Boeri su Lavoce.info.
Un altro post pubblicato sulla stessa testata a firma di Daniela Del Boca, economista, raccoglie una serie di contributi di diversi periodi (è un dossier in pdf di 38 pagine), alcuni con considerazioni sulla Manovra attualmente in discussione, altri che riportano articoli apparsi nel corso degli ultimi dieci anni. Quanto dicevamo prima sul problema “distributivo” del contributo è confermato dall’articolo “Ma i bebè non sono tutti uguali”, di Massimo Baldini: «Secondo i dati dell’indagine Istat-Silc (Statistics on income and living conditions), poco meno del 30 per cento dei bambini da 0 a 2 anni vive nel 20 per cento più povero delle famiglie, mentre gli altri sono ripartiti in modo piuttosto uniforme nel resto della distribuzione. Facciamo l’ipotesi che la soglia Isee per il bonus sia di 30mila euro: circa l’85 per cento dei bambini fino a 2 anni vive, sempre secondo l’indagine Silc, in famiglie con Isee inferiore a questo valore. Il grafico (pag. 5 del documento) ci dice che il limite di 30mila di Isee familiare esclude buona parte dei bambini che vivono nel 20 per cento con reddito più alto (ma non tutti), ma include buona parte delle famiglie a reddito medio e benestanti (terzo e quarto quintile). Insomma, un altro sussidio per le classi medie». Vediamo invece cosa si dice in merito all’opportunità di spostare gli aiuti verso l’iscrizione gratuita ai nidi (e l’aumento dei posti disponibili): «Oggi frequentano nidi pubblici circa 200mila bambini, per un costo annuo a carico delle famiglie di circa 300 milioni di euro. La somma di 1,5 miliardi a regime è più che sufficiente per portare a zero le rette per le famiglie anche se la frequenza aumenterà di molto».
L’argomento si incrocia con quello di cui parlavamo ieri, ovvero la parità di genere. Come spiegano Daniela Del Boca, Chiara Pronzato e Silvia Pasqua nell’articolo intitolato “Il nido fa bene. Ai genitori e ai figli”, «L’Italia ha tre cruciali peculiarità: la bassissima partecipazione delle donne al mercato del lavoro, la bassissimo fecondità e l’uscita delle donne dal mercato alla nascita del primo figlio, causata principalmente dal sovraccarico di lavoro familiare, secondo i recenti dati Istat. Dalla concomitanza di questi fenomeni “negativi” potremmo attenderci benefici almeno per i bambini: se ci sono pochi bambini in famiglia e poche mamme lavorano fuori casa, c’è più tempo, in media, da dedicare ai figli. Il benessere e lo sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini dovrebbe trarne vantaggio. Invece, i dati europei mostrano che i ragazzi italiani non ottengono risultati migliori dei loro coetanei degli altri Paesi, ma addirittura peggiori». Insomma, 80 euro fanno comodo, ma sono un tappa buchi, non una politica per l’infanzia.