Il 9 ottobre è morto Bruno Latour, filosofo francese che nella sua lunga carriera aveva rivoluzionato il modo di intendere la ricerca scientifica, lasciando numerosi scritti anche sul ruolo della tecnologia nelle nostre società e soffermandosi ultimamente sulla questione ambientale. Un articolo su Doppiozero ne ricostruisce il percorso.

La notizia della scomparsa di Bruno Latour – paventata da diverso tempo, a causa di un brutto male – ci blocca di fronte allo scaffale che schiera i suoi libri, ci costringe a trattenerci nel suo sito personale dove raccoglieva i suoi scritti. Parecchi, i libri; tantissimi, e di svariato argomento, gli scritti. Ripercorriamo con tristezza le sue sperimentazioni concettuali, la lucidità che esprimono, le argomentazioni controcorrente, l’immancabile ironia. Difficile eludere la cattiva domanda egoista: e adesso? chi ci aiuterà nella critica del presente? nel pensare il domani? nel capire l’andazzo? In tempo di pandemie, perdita del senso, entropia informativa, smarrimento generalizzato, occorre gente come lui, intellettuale inattuale nel doppio senso del termine, perché d’altri tempi e di nessun tempo: studioso, sociologo, semiologo, filosofo, ma soprattutto analista inflessibile della nostra attuale condizione socio-culturale, dei nessi tanto micidiali quanto furbetti fra scienza e politica nella nostra cosiddetta modernità.

A dispetto del nome che portava, Bruno Latour era pur nato in Borgogna, ma c’entrava poco coi vini della côte d’or. Avrebbe potuto occuparsene nell’azienda di famiglia, e avrebbe avuto ancora ben altra popolarità, dato il clamore che suscita oggi l’enogastronomia. Aveva preferito fare tutt’altro, leggere e studiare, tenere corsi e pubblicare un’enorme quantità di cose, migrando fra vari centri di ricerca sparsi per il mondo (UCLA, Ecole des Mines, Berkeley, London School of Economics, Sciences politiques…) e saltellando fra discipline d’ogni sorta, siano esse scienze cosiddette dure o avanzate tecnologie ingegneristiche, saperi umanistici e studi sociali, filosofie teoretiche e mediologie, per attestarsi infine nel crinale assai produttivo fra etnometodologia fenomenologica (Schütz, Garfinkel) e semiotica strutturale (Greimas, Fabbri).

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(Foto di Ulysse Bellier su flickr)

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