Per il presidente della Liguria Claudio Burlando, il clima politico si è rivelato particolarmente avvelenato nei giorni scorsi, a differenza dei funghi che ha orgogliosamente dimostrato di avere raccolto. La vicenda l’avrete letta nei giorni scorsi: il 12 settembre, giorno della prima riunione del Consiglio regionale ligure dopo la pausa estiva, il presidente non si è presentato per motivi personali. Nelle stesse ore, egli postava sul suo profilo Twitter una foto che lo ritrae mentre mostra un bellissimo esemplare della sua ricerca boschiva. Il presidente si è giustificato dicendo che si trattava di un impegno preso molto tempo prima, che di solito il Consiglio si tiene di martedì, che lui ha fatto tutto come si deve comunicando la sua assenza per tempo. Insomma, a livello di forma inattaccabile. Ma la sostanza è che i tempi sono quelli che sono, e non si può far passare sotto silenzio una leggerezza simile per un presidente di regione.
Candidandosi a presiedere un Consiglio regionale, si decide di mettere da parte molti aspetti della propria vita privata, per essere al servizio della collettività. E quindi, se il Consiglio (il primo dopo le ferie, ribadiamo) è di giovedì, quel giorno ci si tiene liberi. La riunione coi parenti si farà a Natale, a Pasqua, o l’anno prossimo, informandosi prima sul calendario consiliare. È molto bello che un padre rinunci a una giornata di lavoro per passarla con i propri figli, come ha fatto Burlando. Davvero, lo diciamo con la massima sincerità. Ma il ruolo istituzionale non è una faccenda da cui ci si può liberare come può fare (quando può farlo) un dipendente che chieda un permesso. Essere presidente di regione non è una fonte di privilegi, ma un impegno che impone sacrifici. Si riceve un mandato dai propri cittadini, e una volta in carica si è per prima cosa il presidente della regione, tutto il resto viene dopo (al di là delle emergenze, ovvio). Siamo d’accordo con Luca Sofri quando, di fronte a un gesto che molti hanno perdonato a Burlando ritenendolo comprensibile e “umano”, afferma che «non è “umanamente” che si dovrebbe fare il presidente di una Regione, né il deputato, né il magistrato, eccetera (e meno che mai il PresdelCons): ma sovrumanamente».
Vorremmo che dai nostri rappresentanti (qui parliamo in generale, al di là del caso in questione) arrivassero esempi ben diversi, di impegno, di reale attitudine a rimboccarsi le maniche e fare qualcosa per cambiare questo Paese, invece di dare la precedenza alle abitudini private. Non è con l’atteggiamento da impiegato che si risolvono i problemi che affliggono l’Italia («io l’avevo detto che non sarei andato» non è un alibi che si possa accettare in questo contesto), ma con l’abnegazione che è propria di certi piccoli imprenditori che hanno reso un importante servizio per lo sviluppo economico di questo Paese. Il “capo” che dà il buon esempio è quello che assiste e controlla il lavoro di tutti, che arriva per primo in ufficio ed è l’ultimo ad andarsene. Non certo quello che delega e sparisce, che dice «voi intanto iniziate, io arrivo». Di questo atteggiamento proprio non abbiamo bisogno, ed è anzi proprio la sua diffusione una delle cause del clima di antipolitica che ha scalfito la credibilità delle istituzioni.
Ciò che vogliamo, e questi signori non l’hanno ancora capito, è sapere che lassù, a rappresentarci, ci siano persone migliori di noi. Da ammirare, da cui imparare, alle quali abbiamo dato il nostro voto perché pensiamo siano in grado di gestire la cosa pubblica meglio di noi. Che abbiano competenze, capacità, esperienza, che noi non abbiamo. Questo è il senso ultimo del voto di rappresentanza, e chi lo riceve deve essere in grado di interpretarlo. Saltare il primo Consiglio regionale dopo un mese di vacanza per stare con la propria famiglia è forse comprensibile, ma non giustificabile.