Spesso tendiamo a pensare alle persone senza dimora come a una categoria omogenea, con problemi, storie, traiettorie simili. Questo condiziona il tipo di intervento adottato fin qui per risolvere il problema. Un cambio di prospettiva potrebbe portare nuove soluzioni, spiega un articolo su Welforum.
Siamo soliti pensare alle persone senza dimora come espressione di una delle forme più gravi di povertà e marginalità: sperimentano condizioni materiali tanto precarie da soddisfare con fatica i problemi quotidiani dell’esistenza, non godono di un’adeguata rete di sostegno e sono prive delle risorse necessarie per disporre di un’abitazione. Sono così estreme le condizioni di vita di questi individui che tendiamo a rappresentarli come “altro” da noi, una fattispecie a sé, isolandoli dal resto della popolazione. Li pensiamo ai margini della società e tendiamo a percepire il loro disagio come un problema personale. Persiste tuttora una rappresentazione fuorviante che riconduce la condizione di chi vive in strada, trova ospitalità nei dormitori o rifugio in sistemazioni inadeguate, a deficit culturali, mancanza di capacità o di volontà, o alla cattiva sorte che colpisce chi nella vita è particolarmente sfortunato. L’immagine associata è quella di uno stato di cronicità e di estremo degrado che non offre vie di uscita.
Nel dibattito pubblico, che contribuisce ad alimentare e veicolare questo tipo di rappresentazione, la questione viene declinata spesso come un problema di ordine pubblico o di decoro urbano. Si tratta di un approccio in linea con una lunga tradizione di intervento improntata a una logica assistenziale, regolativa ed emergenziale, che ha relegato le persone socialmente marginali ai dormitori e ad altre strutture di accoglienza temporanea, escludendole di fatto dalle politiche abitative sociali e riservando loro soluzioni “ad hoc” (Tosi 2017).
Sappiamo bene che le rappresentazioni della realtà non si limitano a descrivere i fenomeni ma contribuiscono a dar loro forma, influenzando le percezioni collettive e persino suggerendo opzioni di intervento: offrono interpretazioni semplificate, suggeriscono e legittimano soluzioni. È dunque interessante provare a mettere alla prova tali rappresentazioni, evidenziandone parzialità e limiti, e al tempo stesso ad aggiornare la nostra conoscenza del fenomeno, delle sue forme e dinamiche. È tempo di un cambio di prospettiva: ricerche recenti (es. Consoli e Meo 2020) documentano nel nostro Paese l’eterogeneità in crescita della popolazione senza dimora, le molteplici configurazioni che disagio abitativo e povertà vanno assumendo, e la complessità dei nessi tra fattori sociali e condizioni individuali. Si tratta di evidenze importanti che smentiscono l’immaginario di cui abbiamo detto.
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(Foto di John Moeses Bauan su Unsplash)
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