Secondo un articolo dell’Atlantic, tradotto in italiano da Internazionale, è in atto una campagna di discredito, soprattutto da parte dei governi di destra degli Stati europei, contro gli studi di genere (o gender studies).
«Gli studi di genere promuovono una conoscenza delle persone e della società con più sfumature – spiega l’articolo –, in particolare riconoscendo il genere come qualcosa di costruito e interpretato all’interno di un dato ordine sociale, e non un dato biologico immutabile. Mettendo in discussione i concetti tradizionali d’identità, sessualità e parentela, la narrativa dell’estrema destra di un “noi” opposto a un “loro” straniero è messa in discussione». Anche l’Italia ha conosciuto un episodio di questo tipo: «Volendo effettuare una ricerca sul bullismo in classe, l’accademico italiano Federico Batini ha distribuito un questionario in 54 scuole dell’Italia centrale. Lo studio era in collaborazione con le autorità scolastiche locali e voleva analizzare la diffusione tra i giovani dei fenomeni di discriminazione razziale, omofoba o di genere. Ma invece di saperne di più sulle esperienze degli studenti, Batini ha subìto una campagna di diffamazione sui mezzi d’informazione e la sua ricerca è stata improvvisamente interrotta». Vari giornali ed esponenti politici hanno parlato di “indottrinamento gender”, “folle ideologia” e affini. In seguito la ricerca è stata interrotta dal Ministero dell’istruzione.
Si tratta di reazioni chiaramente sproporzionate di fronte a un settore di studio, quello degli studi di genere, che non ha certo l’intento di “indottrinare”, bensì di indagare un fenomeno complesso. Spesso di parla addirittura di “ideologia gender”, quando invece sono le argomentazioni che si portano a contrasto a essere ideologicamente inquinate (per esempio le posizioni a favore della “famiglia naturale”). Per molti euroscettici gli studi di genere sono diventati un ulteriore pretesto per prendersela contro l’Unione europea. Questa si è infatti impegnata in una politica di gender mainstreaming, ossia «l’inclusione di una prospettiva di genere in ogni politica, norma e programma di spesa. Tanto che gli esponenti dell’estrema destra usano il termine per riferirsi più in generale ai burocrati di Bruxelles. Questa stessa associazione di idee ha spinto gli studi di genere nel mirino dell’estrema sinistra, che ritiene che il sostegno alla questione da parte dell’Ue, che secondo loro ha un disegno capitalistico, abbia compromesso questo campo».
A detta di aluni ricercatori, gli studi di genere non hanno fatto molto per rendersi comprensibili a un pubblico ampio. Essendo un tema trattato soprattutto all’interno di un ambito specialistico, i libri e i testi che ne parlano sono molto tecnici e poco comprensibili ai non iniziati. Forse uno sforzo di divulgazione da parte della comunità scientifica sarebbe utile. O forse si può aggirare il problema approcciando libri e temi che non affrontano direttamente la questione degli studi di genere, ma più in generale il ruolo e la rappresentazione della donna nella società. Su questo, negli articoli di Ludovica Lugli per il Post si trovano spesso consigli di lettura, soprattutto sul tema del femminismo.
(Foto di Tim Mossholder su Unsplash)