Mai come durante la pandemia di coronavirus siamo stati sommersi di dati, numeri e statistiche di ogni tipo. Purtroppo però abbiamo anche dovuto subire interpretazioni sbagliate di quei dati, e su queste formare le nostre opinioni – magari giuste, in sé, ma basate su premesse false. È un problema che ci portiamo dietro da molto prima della pandemia. Basti pensare al fenomeno dell’immigrazione, a cui si dà più o meno importanza indipendentemente da ciò che dicono le statistiche. In quel caso gioca un ruolo anche una componente propagandistica che mira a ignorare coscientemente i dati, o a darne un’interpretazione distorta, per orientare un’opinione. In entrambi i casi (coronavirus e immigrazione), alla base del nostro essere facilmente raggirabili c’è un diffuso analfabetismo rispetto alla statistica. Il fatto che a scuola dell’obbligo non la si studi (salvo brevi cenni in alcuni corsi) è un problema per la nostra comprensione del mondo e per le decisioni che siamo chiamati a prendere per le nostre vite. Lo sostiene il fisico Carlo Rovelli (autore qualche anno fa di un piccolo best seller) in un articolo pubblicato sul Guardian. La pandemia in corso, ha scritto lo scienziato, ha costretto tutti noi a confrontarci con il ragionamento probabilistico: dai governi che devono decidere se e quando applicare misure precauzionali, ai singoli cittadini che devono valutare quali situazioni siano più o meno pericolose per la propria salute e per quella altrui.
In realtà, giusti o sbagliati che siano, tutti i giorni mettiamo in atto ragionamenti “probabilistici”. Spesso però ci lasciamo confondere da concetti che conosciamo poco. La media, per esempio, non sempre è lo strumento più adatto a valutare una certa situazione. In parte la pandemia è forse servita ad aiutare alcuni a colmare qualche lacuna. Sui giornali, durante la “prima ondata”, si vedevano soprattutto dati assoluti, aggregati per paese. Ora è molto più frequente vedere mappe che mostrano il numero di casi ogni 100 mila abitanti, diviso per regione o per provincia. Un dato, questo, che restituisce in maniera molto più realistica la gravità della situazione in un dato territorio rispetto alla sua popolazione.
Secondo Rovelli, gioverebbe alla società che ai bambini, oltre alle normali nozioni di moltiplicazioni o divisioni, fossero insegnati anche concetti statistici come media, varianza, fluttuazioni e correlazioni. Questo li renderebbe poi degli adulti che non scambiano, come spesso capita, la probabilità per imprecisione. Una delle grandi frustrazioni di questa pandemia è proprio l’incertezza. Ma, precisa Rovelli, è proprio quando si deve avere a che fare con l’incertezza che la statistica diventa utile.
Per questo mente (o parla senza cognizione) chi dice che “È impossibile che Trump vinca le elezioni”, per esempio. Già quattro anni fa un’interpretazione sbagliata dei sondaggi (e forse una scarsa conoscenza del sistema elettorale statunitense) aveva fatto pensare al mondo che Hillary Clinton avrebbe stravinto. Oggi possiamo certamente dire che Joe Biden ha molte più strade di Trump per vincere, e che una vittoria di Trump è improbabile. Ma a volte le cose improbabili succedono (come nel 2016, quando Trump vinse la prima volta).
Ma Rovelli sottolinea un altro aspetto importantissimo, ossia che la moderna medicina, la meccanica quantistica, la meteorologia o la sociologia si fondano proprio su concetti statistici. È grazie a questi che abbiamo capito che il fumo nuoce alla salute o che l’amianto è letale. Dalla chimica all’astronomia, tutta la scienza basa le sue osservazioni sulla statistica, e senza di essa non avremmo fatto i grandi passi avanti compiuti negli ultimi decenni.
Sono tante le cose che non sappiamo, dalle più semplici alle più complesse. Ma non sapere tutto è diverso da non sapere nulla. Ed è proprio quando abbiamo una conoscenza incompleta di un fenomeno che la statistica ci viene in aiuto. In un mondo dominato dall’incertezza è ingenuo pretendere certezze assolute, e chiunque sostenga di averne è di solito la persona meno affidabile. Le nostre vite, conclude Rovelli, si sviluppano proprio in quel prezioso spazio intermedio che sta tra la certezza assoluta e la completa incertezza.
(Foto di Riho Kroll su Unsplash)