Sul caso delle due studentesse americane che hanno denunciato di avere subito violenza sessuale da parte di due carabinieri in servizio a Firenze, la stampa italiana sta offrendo ottimi esempi di pessimo giornalismo. In particolare, nei giorni successivi alla denuncia, varie testate si sono prodotte in esercizi di difesa dell’onorabilità dell’arma dei Carabinieri, e nel suggerire che le due donne se la siano in qualche modo andata a cercare, o peggio ancora abbiano mentito per riscuotere i soldi di una fantomatica assicurazione “antistupro”.

Come sempre quando trattiamo di notizie che riguardano indagini in corso (e in questo caso appena cominciate), precisiamo che non sta a noi propendere per la colpevolezza o l’innocenza degli indagati. Anche per i carabinieri, come per qualunque indagato o imputato, vale la presunzione di non colpevolezza, a meno che non sia provato il contrario in sede giudiziaria. Ciò di cui ci occupiamo qui è ciò che sta intorno al caso in sé, il modo in cui i giornali ne parlano, e come si fanno passare messaggi per suggerire risposte che al momento non ci sono. Partiamo dall’ultimo aspetto tra quelli che elencavamo più su: la polizza contro le violenze sessuali.

Su vari giornali a un certo punto sono comparsi dei dati, riassunti in forma quasi identica (qui prendiamo quella usata dal Secolo XIX): «Però non si può neppure dimenticare che tutte le studentesse americane in Italia sono assicurate per lo stupro e a Firenze su 150-200 denunce all’anno, il 90 per cento risulta falso». Messo giù così, sembra un dato molto importante, su cui il lettore sarà portato ad appoggiarsi per formarsi una propria opinione in merito alla faccenda. Davvero esiste questa polizza specifica contro gli stupri?

Davvero c’è una statistica sulle denunce presentate da studentesse americane a Firenze (anche se tra 150 e 200 c’è una certa differenza), con una percentuale di infondatezza così alta? Ovviamente la risposta è no a entrambe le domande. Ma chi avrà cura di correggere? E in ogni caso, con quale idea di professionalità si arriva a pubblicare un dato del genere senza fare una telefonata per capire da dove arriva e se ha un qualche tipo di collegamento con la realtà? Qualcuno si è preso la briga di farla, questa telefonata (ma ormai è tardi), come Claudia Fusani, che ha pubblicato un articolo su Tiscali News dopo avere intervistato Gabriele Zanobini, avvocato di una delle vittime: «Nessuna delle due ragazze americane – spiega il legale – ha stipulato una polizza anti stupro. Le ragazze hanno soltanto una generica assicurazione che di prassi le università americane stipulano per i loro studenti che si recano all’estero. È una polizza che riguarda il furto e le rapine e altri tipi di danni, ma loro neppure erano a conoscenza di questa cosa. Non lo sapevano».

Fusani ha poi sentito la questura di Firenze, per avere ulteriori precisazioni su queste polizze, ma soprattutto sulle denunce: «Si tratta di assicurazioni temporanee contro gli infortuni. Nessuna contempla in modo specifico reati relativi al sesso, sono generiche. Le università ne raccomandano la sottoscrizione. Spesso è compresa nell’iscrizione al corso. […] Nel 2016 in provincia di Firenze ci sono state 51 denunce per violenza sessuale. Non possiamo al momento fare una casistica delle vittime, italiane, straniere, americane. Per noi sono tutte violenze in ugual modo». Possibile che nessuno di coloro che ha pubblicato la notizia abbia avuto il tempo di fare questa verifica?

Giulia Siviero, sul Post, ha raccolto una serie di passaggi da vari articoli che in qualche modo fanno sorgere nel lettore dei dubbi sull’affidabilità delle ragazze, colpevoli di mettere in dubbio la serietà di due carabinieri. Il Corriere della Sera scrive per esempio che si tratta di una storia «Ancora oscura, strampalata, piena di dubbi e contraddizioni, messaggera di verità o di menzogna e che rischia di gettare ombre e fango su un’istituzione, i carabinieri, simbolo di legalità e giustizia». Dobbiamo stare a discutere su cosa voglia suggerire una frase del genere? C’è poi chi sottolinea l’«ubriacatura» delle ragazze, chi ancora riporta che queste «hanno avuto, negli ultimi giorni, rapporti sessuali». Informazioni buttate lì, forse senza troppo pensare alle conseguenze, giusto per condire la storia.

Eppure, ribadiamo, è anche da questi dettagli che le persone formano la propria opinione sulla vicenda. «Lo stereotipo dell’integro tutore dell’ordine – scrive Luca Sofri – e quello della studentessa straniera troietta si impadroniscono di menti e tastiere». E restituiscono un’idea di giornalismo piuttosto desolante, purtroppo diffusa in redazioni anche blasonate, a prescindere dagli ottimi professionisti che qua e là provano a resistere a questa deriva. Chiudiamo con un altro passaggio dal pezzo di Sofri, in cui si elencano alcuni problemi più generali: «Quello di un’informazione per la quale – tra una foglia di fico e l’altra – le donne sono ancora quotidianamente carne da boxino morboso. Quello di un’informazione che vivacchia da sempre barattando indulgenze e complicità con procure e corpi di polizia in cambio di notizie e carte giudiziarie. Quello di un’informazione in cui la cultura della sciatteria e del sensazionalismo ha annullato quasi del tutto l’accuratezza, la verifica dei fatti, l’obiettività. Quello di un’informazione che pensa che i lettori siano cretini, o per presunzione o per affinità. I lettori peraltro pensano ormai lo stesso di chi fa informazione, e presto avremo ragione tutti quanti».

Fonte foto: flickr