Alcuni volontari dell’Osservatorio Antigone stanno visitando le carceri italiane per verificare le condizioni di detenzione dei reclusi. Forlì, Lanciano, Cassino, Genova Marassi, Sulmona: queste le prime destinazioni, ma le verifiche continueranno per tutto il mese di agosto. L’estate è un momento particolarmente drammatico per la vita nelle prigioni italiane, perché il cronico problema del sovraffollamento è aggravato dalle condizioni climatiche, che tendono a rendere ancora meno vivibili gli angusti spazi destinati ai carcerati. Condizioni che non contribuiscono certo alla riabilitazione delle persone rinchiuse. «Il tasso di recidività crolla dall’80 all’1 per cento se i detenuti seguono un percorso di reinserimento lavorativo -si legge sul mensile Vita di luglio-. Pensando che lo Stato spende 70mila euro l’anno (190 euro al giorno) per mantenere un detenuto in carcere, i conti sono presto fatti». È importante continuare a tenere alta l’attenzione su questo problema, che rientra a pieno titolo nella lotta per il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo. Per farlo, riportiamo uno stralcio di un articolo pubblicato il 23 luglio sul Corriere della Sera a firma di Dacia Maraini.

«Partendo dal presupposto che il carcere è un luogo di pena, e la pena è necessaria per fare giustizia, ci si chiede se sia lecito che diventi anche un luogo di tortura legalizzato. Una tortura non esercitata con coscienza, si potrebbe perfino dire “non voluta”, e soprattutto non applicata per ottenere qualcosa, ma fine a se stessa, il che diventa una testimonianza di pura inefficienza e arroganza del potere. ”Nel carcere di Siano (Catanzaro) -racconta un detenuto di nome Antonino a Riccardo Arena che cura la rubrica radio-Carcere su Radio radicale- siamo costretti a vivere in quattro dentro celle di appena 6 metri quadrati. Per farci stare tutti, hanno messo il letto a castello a tre piani, e lo sfortunato che dorme di sopra si trova con la testa incastrata tra il cuscino e il soffitto”. Per capire il supplizio basta un poco di immaginazione. Dormire ogni notte con la testa incuneata in uno spazio di una ventina di centimetri, col soffitto in bocca, l’impossibilità di sollevare la testa, la mancanza d’aria, la paura di voltarsi nel sonno, la spalla non entrerebbe in quello spazio angusto, col pericolo di cadere dal letto; non è tortura questa? Soprattutto se prolungata. “Il reato di tortura nel nostro codice non c’è -precisa Arena- ma ci sono quello di maltrattamenti, quello di abuso d’ufficio, quello di omicidio colposo per i casi di detenuti che muoiono per mancanza di cure; però non vengono mai accertati e puniti”.

“Qui a Poggioreale -scrive Francesco- spesso manca l’acqua corrente nelle celle, e non possiamo né bere né rinfrescarci. Tra queste mura la vita è diventata impossibile: ci fanno stare in otto in una cella di appena 10 metri quadrati, come vivere per mesi o anni in un autobus pieno di gente. Di fatto restiamo chiusi 24 ore su 24, con solo 100 minuti di aria, dopo di che ci richiudono e non possiamo più fare niente se non resistere alla tortura. Ti confesso che ho pensato spesso di farla finita perché dopo un po’, essere trattati come animali, ti fa morire dentro. Finora mi ha salvato il pensiero di mia moglie e dei mie due bambini, ma fino a quando riuscirò a resistere?”.

Non solo la strettezza dello spazio, ma l’inazione, lo stare addosso l’uno all’altro per ore e ore, senza potere fare niente. Anche questo è tortura. Si possono immaginare le intolleranze, le rabbie, l’aggressività che monta. Eppure il lavoro è previsto per i carcerati. Ma indovino la risposta: non ci sono guardie a sufficienza per tenerli d’occhio, non ci sono i mezzi per gli spostamenti, ecc. A volte la replica è molto semplice. Guardate il caso dei pochi fortunati reclusi che hanno avuto modo di fare teatro o cinema. Sono usciti, hanno lavorato, hanno goduto di libertà impreviste e non è mai scappato nessuno. Se si dà al detenuto una motivazione, una occupazione che lo interessi, che magari gli faccia anche guadagnare qualcosa, se capisce che è nel suo interesse non scappare, non creare problemi, starà alle regole della fiducia. Ma è chiaro che un lavoro sulla fiducia e la voglia di cambiamento, è molto più faticoso e difficile che lasciarli marcire in una cella».