Lo scivolone del presidente del Veneto Luca Zaia, che ha confuso i caregiver con dei fantomatici “car giver”, ha generato ilarità, imbarazzo, ma anche rabbia e sconforto. I caregiver sono persone che, a titolo gratuito e fuori dall’ambito professionale, si occupano dell’assistenza di un familiare non autosufficiente. I “car giver”, nella spiegazione di Zaia, sarebbero persone che fanno da “autisti per i disabili”. La testata che si occupa di disabilità Superando non l’ha presa bene: «Essere qualificati come “autisti” o “accompagnatori occasionali” forse spiega il totale disinteresse per una categoria che non ha alcuna tutela e che da anni funge da unico ammortizzatore sociale del proprio congiunto con disabilità, nella maggior parte dei casi una donna che ha dovuto rinunciare al lavoro […]. Non è ammissibile tale mancata conoscenza e superficialità da parte di chi è a capo di una Regione e ricopre una carica istituzionale, non è ammissibile liquidare il tutto come una battuta infelice o un lapsus».

Nell’unirci alla necessità di non intendere la vicenda come un semplice incidente linguistico, guardiamo però anche il lato positivo: quella frase sarebbe passata inosservata se non ci fosse stata la gaffe. Zaia stava infatti annunciando che tra le varie categorie che avranno una corsia preferenziale nella campagna di vaccinazione sono stati aggiunti proprio i caregiver dei disabili gravi. Non una di quelle notizie con cui i giornali fanno le prime pagine, ma che improvvisamente ha avuto ampia visibilità. «Dopo la richiesta di un intervento promossa, in particolare, dalle associazioni delle persone con disabilità – ha spiegato il Fatto Quotidiano – giovedì il ministero della Salute ha diffuso un nuovo documento che aggiorna le raccomandazioni sui gruppi target della vaccinazione, inserendo appunto i caregiver». Come però ha spiegato Giampiero Griffo, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, «C’è un problema di procedura uniforme di organizzazione e identificazione dei caregiver in assenza di banche dati aggiornate e univoche, oltre che sull’identificazione chiara di chi sono precisamente i caregiver in assenza a livello statale di una definizione. Il dramma italiano – ha aggiunto Griffo – è anche la digitalizzazione, perché raramente sono stati registrati in una lista precisa tutti i cosiddetti caregiver e soprattutto chi fornisce assistenza continuativa in forma gratuita».

Per curiosa coincidenza, proprio pochi giorni prima della gaffe si era svolto un incontro tra il Gruppo Caregiver Familiari Comma 255 e la nuova ministra per la Disabilità, Erika Stefani. Un incontro definito come «l’inizio di un percorso fruttuoso» da parte dell’associazione stessa. In ballo c’è il pieno riconoscimento legislativo, e quindi la tutela, della categoria dei caregiver familiari. Finora infatti a occuparsene sono alcune leggi regionali (la prima delle quali emanata dall’Emilia-Romagna nel 2014), mentre diverse proposte di legge giacciono nelle commissioni parlamentari in attesa di essere discusse e votate. Il testo più promettente è il disegno di legge n. 1461 del 2019, che riconosce al caregiver un valore sociale ed economico per il Paese. Resta da vedere se è un pensiero condiviso anche dall’attuale classe politica.

Chi e quanti sono i caregiver in Italia

Sui numeri e la composizione del comparto dei caregiver in Italia diverse fonti convergono citando dati Istat: «In Italia in media il 17,4 per cento della popolazione (oltre 8,5 milioni di persone) è caregiver. Spesso si tratta di persone a loro volta anziane, come i familiari che assistono, ma non sempre è così: più di 390 mila sono i giovani caregiver, tra i 15 e i 24 anni. […] Essere caregiver non è una scelta ma una necessità e lo si rimane per molti anni, spesso per tutta la vita. Durante quel periodo, per molti non è possibile mantenere il lavoro e di conseguenza viene meno il sostentamento economico. Occuparsi di loro e di tutti coloro che assistono familiari, svolgendo un pezzo importante di welfare del nostro Paese, è una priorità fondamentale», ha detto Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva.

Sui caregiver, come si può immaginare, la pandemia ha pesato in maniera particolare. Una ricerca realizzata da Ant su caregiver di pazienti oncologici ha mostrato che le maggiori fonti di disagio sono state (e sono) «stress, ansia e depressione associati al caregiving burden (il peso psicologico e fisico che subisce chi assiste persone malate). Durante il picco dell’epidemia, il 57,4 per cento del campione (69 caregiver tra i 14 e i 55 anni) ha indicato come prime emozioni provate l’ansia e la paura, il 26,5 per cento senso di insicurezza e il 23,5 per cento senso di impotenza. Solo un 7,4 per cento parla anche di capacità di adattamento».

(Foto di Dominik Lange su Unsplash )

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