In seguito alle bizzarre dinamiche che hanno portato martedì alla rivelazione dell’intenzione del governo di rimuovere il numero chiuso nelle iscrizioni al corso di laurea in Medicina, i commenti della categoria interessata sono stati piuttosto perplessi. «Ci aspettavamo un intervento importante del governo nel campo della formazione dei medici – ha detto il presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani, Pierluigi Marini –, ma l’abolizione del numero chiuso per l’accesso alle facoltà di Medicina, senza un congruo aumento delle borse di specializzazione rischia di essere un boomerang. I giovani laureati in medicina che non entreranno nelle scuole di specializzazione si troveranno in una sorta di imbuto: non potranno accedere ai concorsi pubblici e dovranno per forza di cose cercare lavoro all’estero».
La cosa non deve preoccupare solo gli studenti di medicina, ma anche i pazienti. Secondo i calcoli della Federazione italiana dei medici di famiglia, nei prossimi anni saranno molti i medici di base che andranno in pensione. Al 2028, riporta l’Ansa, si stima che saranno andati in pensione quasi 34mila medici. Ogni anno però le borse per la specializzazione in medicina generale sono circa 1.100. Ciò vuol dire che tra dieci anni ci saranno 22mila medici in meno rispetto a oggi.
Bisogna dire che l’attuale governo si sta muovendo anche per aumentare i posti disponibili alla specializzazione, e quindi per fare in modo che al termine del triennio che comincia quest’anno ci siano più nuovi medici del previsto. Il Ministero della salute ha infatti annullato il concorso che si sarebbe dovuto tenere il 25 settembre perché diceva di avere individuato risorse per ulteriori 860 borse di studio. Il nuovo concorso si terrà dunque il 17 dicembre e in tutto i posti disponibili dovrebbero essere 2.093.
Il problema è che gli studenti che si iscrivono oggi saranno abilitati alla professione nel 2021, mentre è previsto che nei prossimi anni ci sia un picco di pensionamenti che supererà i 3.500 medici all’anno nel periodo dal 2020 al 2025. Ormai è tardi per evitare la carenza, che tra qualche anno probabilmente si presenterà, nonostante questi sforzi. In ogni caso, dato l’aumento di borse piuttosto modesto rispetto alla quantità di studenti che si laureano in Medicina ogni anno, resta piuttosto discutibile l’idea di togliere il numero chiuso nell’accesso al corso di studi.
Il perché di questo squilibrio tra gli studenti che escono dalla scuola di specializzazione e medici che vanno in pensione è spiegato in un articolo del Post risalente al 2016: «Ci sono tanti medici di medicina generale che si avvicinano all’età pensionabile perché fanno parte della generazione che entrò nel Sistema Sanitario Nazionale quando questo venne introdotto all’inizio degli anni Ottanta. Prima i medici di famiglia erano pagati dagli enti mutualistici a cui le persone si riferivano in base al loro lavoro o a quello dei loro famigliari, e i medici della mutua potevano anche avere 2.000 o 3.000 pazienti. Quando si passò al nuovo sistema, in cui vige la regola per cui il numero massimo di pazienti di un medico di base è 1.500, il numero dei medici di medicina generale raddoppiò: i giovani medici di allora, la generazione che ora sta per andare in pensione, presero quei posti in più. […]
Prima del 1991 qualsiasi laureato in Medicina e Chirurgia poteva diventare medico di base, e così è ancora oggi per chi è diventato medico prima del 1995. I laureati dopo il 1995 invece devono seguire un corso di formazione specifica in Medicina Generale per poter fare i medici di famiglia. Non è una specializzazione universitaria, come per esempio quelle in ginecologia o in ortopedia, e infatti viene organizzato dalle regioni e dalle province autonome, non dalle università. Il corso dura tre anni e comprende una parte di lezioni e un’altra, molto consistente, di servizio in reparti ospedalieri, in poliambulatori dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) e nello studio di un medico di medicina generale. Per frequentarlo i laureati abilitati alla professione medica ricevono una borsa di studio di circa 800 euro al mese, molto più bassa rispetto alla retribuzione prevista per le specialistiche. Per poter accedere al corso è necessario superare un esame che si tiene una volta all’anno: il concorso è bandito dal ministero della Salute ma organizzato dagli assessorati regionali competenti, e i corsi regionali sono a numero chiuso».
(Foto di Martin Brosy su Unsplash)