Dopo la pesante bocciatura nei confronti delle carni lavorate da parte dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) nel 2015, nei giorni scorsi sono stati pubblicati i risultati di un nuovo studio che associa un alto consumo di carni rosse a grossi rischi per la salute (oltre a confermare quanto detto dall’Oms sulle carni lavorate). La ricerca è stata pubblicata sul British Medical Journal (rivista scientifica, articolo peer reviewed) e sembra evidenziare una relazione tra l’alta assunzione di nitrati/nitriti (contenuti soprattutto nelle carni lavorate) e di ferro eme (concentrato nelle carni rosse) con l’aumento del rischio di varie cause di mortalità. La sostituzione di carni rosse con carni bianche (meglio se non lavorate) attenua decisamente tali rischi.
Lo studio è stato condotto su un campione molto esteso di cittadini statunitensi tra i 50 e i 71 anni, con diverse situazioni di salute, su un periodo di tempo molto lungo (caratteristiche che danno forza alla ricerca). Nel 1995 è stato chiesto ai partecipanti di compilare un approfondito questionario che riguardava la frequenza di assunzione di varie tipologie di cibo nel corso dell’ultimo anno. A partire dalle risposte, i ricercatori hanno potuto calcolare una stima della tipologia e quantità di molecole ingerite dai vari soggetti nel corso del tempo. Nel 2011 c’è stato il follow-up dell’indagine (ma il monitoraggio è stato costante nel corso degli anni), e si è confrontata la situazione dei partecipanti (alcuni dei quali nel frattempo deceduti), in relazione alle abitudini alimentari di ognuno.
Una delle tabelle dello studio mostra come a un più alto consumo di carni rosse aumentino complessivamente le cause di mortalità (tumori, problemi cardiaci, problemi respiratori, diabete, infezioni, problemi ai reni e al fegato). Nella stessa tabella si può invece vedere come (colonna centrale) il consumo di carni bianche porti a un abbassamento della probabilità di imbattersi in ognuno dei problemi appena elencati. Fa eccezione la malattia di Alzheimer, che sembra non avere relazioni con la quantità di carni rosse ingerite. Ovviamente, a fronte del grande punto di forza rappresentato dall’ampiezza dello studio, va detto che errori sono sempre possibili quando si affida alle persone l’onere di compilare un diario dettagliato dei loro consumi alimentari. La capacità di valutazione (e misurazione) degli alimenti ingeriti è spesso al centro di problemi nella gestione della propria nutrizione (ed è una delle cause per cui spesso le diete non funzionano: mentre si pensa di rispettare le indicazioni, in realtà si sta mangiando di più).
Bisogna anche considerare che l’alimentazione europea (e in particolare italiana) è mediamente molto più varia di quella statunitense, e il fatto di avere più opzioni da affiancare all’assunzione di carni rosse o lavorate fa sì che il consumo complessivo si abbassi. Secondo uno studio di Agriumbria citato da SkyTg24, in Italia si registra il minor consumo di carne in Europa: «Ogni italiano nel 2016 ha mangiato in media 79 kg di carne: in maggioranza si tratta di carne di maiale (37 kg), seguita da quella bovina (21 kg) e da quella avicola (19 kg). La parte restante (2kg) è di animali diversi come coniglio e cavallo. […] Secondo la ricerca il consumo di carne italiano, tipico della dieta mediterranea, oltre ad essere di qualità “è anche molto al di sotto, circa la metà, dei quantitativi individuati come potenzialmente rischiosi dall’Organizzazione mondiale della sanità”».
Ricordiamo che nel 2015 l’Oms concluse che una porzione da 50 grammi di carni lavorate al giorno aumenta del 18 per cento la probabilità di contrarre un cancro all’intestino. Queste andrebbero dunque evitate, o comunque ridotte a un consumo episodico e non continuativo. Diversificare e ridurre le porzioni, affiancando alla carne altri tipi di cibi (e sostituire carni rosse o lavorate con carni bianche), potrebbe dunque essere la strategia migliore per evitare numerosi problemi, senza rinunciare ai piaceri della tavola.
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