Nel giorno in cui Massimo Ponzellini, presidente di Impregilo ed ex presidente di Banca popolare di Milano, veniva tradotto agli arresti domiciliari, il colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto si dimetteva dal suo incarico. Cosa unisce questi due eventi? Le videolotteries. Tra le operazioni contestate a Ponzellini vi è infatti «un finanziamento da 148 milioni di euro erogato da Bpm alla società Atlantis/BPlus, collegata al clan mafioso di Nitto Santapaola». Si tratta di una società di videopoker che fa capo a Francesco Corallo, con ramificazioni offshore nelle Antille olandesi. Per l’approvazione di questo finanziamento «Ponzellini si sarebbe speso “personalmente in maniera del tutto anomala” e in violazione delle norme anti-riciclaggio».

La società Atlantis ha da sempre goduto di grande attenzione da parte dei poteri forti, tanto che Marco Milanese, deputato Pdl, già ufficiale della Guardia di Finanza e consulente dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, «si sarebbe speso -all’epoca dei fatti, quando era sottosegretario al Ministero, ndr- da relatore parlamentare per l’introduzione di una legge sul gioco d’azzardo favorevole a Francesco Corallo -figlio di Gaetano, condannato a sette anni per associazione a delinquere, ndr– e alla sua Atlantis. La norma (legge 39 del 28 aprile 2009) era teoricamente rivolta ad aiutare la popolazione terremotata dell’Abruzzo, ma in realtà autorizzava l’utilizzo nei locali pubblici delle macchine videopoker».

Qualche mese fa un’altra prova di grande attenzione da parte della politica verso la famiglia Corallo, come si legge sul Fatto Quotidiano del 21 aprile: «Pochi giorni fa, il governo Monti, nel decreto sulle liberalizzazioni, introduce un cambiamento -grazie a un emendamento proposto dal Pdl, ndr-: svanisce il divieto di concessione a indagati e condannati, inclusi i loro coniugi e i parenti fino al terzo grado. Norma prevista, negli anni precedenti, per contrastare la presenza delle mafie nel ricco settore del gioco legalizzato».

Questo il quadro all’interno del quale arrivano le dimissioni di Rapetto, ossia colui che negli ultimi dieci anni ha condotto una lotta senza pari ai crimini e alle truffe informatiche, costruendo un pool di professionisti che ha messo a segno una serie di successi a tutto vantaggio del rispetto della legge e delle casse dello Stato. Tra le indagini portate a termine «quella che probabilmente è stata fatale a Rapetto è forse la più importante -scrive Carlo Clericetti su Repubblica del 29 maggio-, quella sulle slot machines del “gioco legale” installate negli esercizi pubblici, che ha portato al recupero di 2 miliardi e mezzo per il bilancio dello Stato ma ha pestato molti piedi importanti, nei Monopoli, nelle società concessionarie e nella galassia di faccendieri che si muovono tra politica, alta burocrazia ed affari».

Insomma in Italia il principio della meritocrazia stenta a imporsi a tutti i livelli. Anzi, in casi come questi sembra essere proprio il merito la causa dell’allontanamento da un ruolo ricoperto per anni con grande profitto. Di certo Rapetto non faticherà a trovare altra collocazione in una società privata, dati la reputazione e il rispetto di cui gode. La perdita è tutta per lo Stato e i cittadini, che da ora si ritrovano meno tutelati su un settore pesante come quello delle videolotteries, in grado di divorare soldi ed esistenze, e che per questo è sempre nel mirino delle associazioni mafiose. Sarebbe interessante vedere se in questo governo di tecnici col pallino -a loro dire- per la meritocrazia ci sia posto per un tecnico altamente qualificato come Rapetto. Non ci speriamo, ma stiamo a vedere.