Spesso ci pongono domande sul perché di tanta ampiezza nei temi trattati da ZeroNegativo. Il blog dell’Avis non dovrebbe parlare dell’associazione? Come mai tutti questi riferimenti all’attualità in tutte le sue sfaccettature? Che c’entrano l’Islanda, la legge sui finanziamenti all’editoria, la manovra fiscale, la tobin tax, i referendum? Per rispondere in maniera diretta e inequivocabile: senza soldi, non c’è sangue. L’Avis (intesa come insieme di donatori, volontari, staff sanitario, personale amministrativo e organi direttivi), e con essa tutto il terzo settore, può fare i più grandi sforzi per organizzare, gestire e promuovere la propria attività, ma se dalle istituzioni non arriva il supporto necessario, qui rischiamo di chiudere. Per questo restiamo sempre agganciati a ciò che succede tra i banchi del Parlamento, delle Regioni, nei palazzi in cui si prendono decisioni che spostano voci importanti del bilancio nazionale. Sangue vuol dire anche cultura della donazione, da qui il nostro interesse verso il modo in cui i nostri rappresentanti gestiscono il patrimonio artistico, la ricerca, l’istruzione. Un Paese che non investe in cultura è un Paese senza futuro, e ovviamente da qui parte la strada che porta all’autosufficienza e alla sopravvivenza della nostra associazione.
Per essere ancora più concreti, se ce ne fosse bisogno, i fatti di questi giorni ci offrono un inquietante trait d’union tra le spericolate manovre del Governo e le sorti del non profit. È stata infatti inserita nel testo della manovra una norma che prevede la soppressione degli enti sotto i 70 dipendenti. L’Agenzia per il terzo settore, istituita nel 2000 per vigilare affinché «su tutto il territorio nazionale italiano, sia perseguita una “uniforme e corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare” concernente le onlus, il Terzo settore e gli enti non commerciali», si regge solo con 15 dipendenti, e quindi rischia di finire nel tritacarne. Come nota Giuseppe Frangi nel suo editoriale sul settimanale Vita in edicola oggi, «L’Agenzia, per quanto non dotata dei poteri che le occorrerebbero, è stata una conquista significativa per il non profit italiano. Lo ha supportato nelle delicate interlocuzioni con tanti altri organi dello Stato, a cominciare dall’Agenzia delle entrate. Cancellarla d’un colpo è come dire, una volta di più, che questo mondo è del tutto marginale e irrilevante». Non è più tenero Andrea Oliviero, portavoce del Forum del terzo settore: «Colpire l’amministrazione locale, alla quale è affidata la gestione del welfare locale e di quello assistenziale significa cancellare molti servizi alle persone e alle famiglie. Senza contare che la nuova manovra seppellisce ogni tentativo di attuare quel federalismo fiscale ‘buono’ che si stava faticosamente mettendo in atto».
Tra le questioni su cui spingiamo di più nei nostri post c’è l’aumento, che auspichiamo, dei controlli nella gestione della cosa pubblica. Invece di tagliare l’Agenzia si sarebbe potuto investire su di essa, darle un potere maggiore di controllo e sanzione su ciò che accade nel terzo settore. Questo avrebbe premiato chi, come Avis, da sempre opera nel pieno rispetto delle norme e fa ogni possibile sforzo per rispettare anche i parametri più marginali della normativa. Ci piace l’idea che nel nostro Paese si possa essere serenamente controllati nello svolgimento della propria attività. Gioverebbe a tutti, e aiuterebbe a far confluire le risorse tra le realtà più virtuose, e quindi a crearne di nuove. E allora un giorno potremmo anche parlare di legge sulle intercettazioni, nel caso qualcuno provasse a limitarne ulteriormente l’utilizzo, perché il principio è lo stesso. Se chi decide per tutti non è disposto a subire il controllo delle proprie conversazioni, fa passare ai cittadini un’idea distorta di cosa vuol dire essere onesti. Di conseguenza poi qualcuno si sente autorizzato ad agire fuori dalla legalità, ché tanto lo fanno anche “loro”. La realtà è fatta di eventi connessi tra loro, e noi ci sforziamo di mostrarne fili e nodi. Ci auguriamo che pian piano sia sempre più chiara la nostra linea editoriale, e i “che c’entra?” sempre più rari.