Tre storie in sette minuti. In estrema sintesi, è questo il contenuto del documentario La strada di casa, realizzato da Goffredo d’Onofrio e Carolina Lucchesini per raccontare l’esperienza di tre giovani italiani che, dopo un periodo di vita all’estero, hanno deciso di tornare in Italia. Dopo aver parlato molte volte su questo blog di chi parte, del perché, della frustrazione di chi non vorrebbe, ma alla fine deve cedere alle avversità, ecco tre storie che vanno contro corrente. Ognuno è protagonista di una narrazione diversa. C’è Paolo, che torna perché «l’Italia è il Paese in cui voglio costruire il mio futuro». Vincenzo invece vuole dare tutto se stesso per migliorare la condizione della propria città, Napoli: «Voglio spremere tutte le mie energie per la mia terra». E poi Serena, che, dopo tanto girare, ha capito che «è dall’Italia che voglio continuare a esplorare il mondo». I numeri dicono che «nel decennio 2000-2010, sono partiti dall’Italia 316mila giovani di età inferiore ai 40 anni. Solo nel 2009 oltre 80mila persone sono espatriate: il 20 per cento in più rispetto al 2008. Di questi, sette su dieci sono laureati». Tornare indietro non è una scelta semplice, nessuno dei ragazzi intervistati sembra tirare in ballo quel sentimento nostalgico che spesso ammanta il ritorno a casa, connotandolo amaramente come qualcosa di molto vicino al fallimento di un sogno. Niente di tutto questo. Siamo di fronte a tre ragazzi che avevano lasciato le proprie città per migliorare la propria condizione, riuscendoci.
Paolo, che oggi ha 35 anni, lascia l’Italia nel 2003 per andare a studiare in Olanda con una borsa di studio, per poi proseguire e concludere gli studi di dottorato a Nancy, in Francia; poi ancora uno spostamento verso Losanna, in Svizzera, per continuare le proprie ricerche. Non c’è ingenuità nel suo sguardo verso le cose: «Lascio un Paese con un sistema di welfare molto avanzato e stipendi altissimi, per tornare in Italia e prendere un quarto di quanto guadagnavo lì». Ma la sua determinazione sembra superiore alle avversità, e nel complesso le soddisfazioni sono maggiori rispetto ai sacrifici. Parla di società che noi dobbiamo costruire, del futuro che noi dobbiamo disegnare per noi stessi e per le persone che verranno dopo. La permanenza all’estero non sembra aver affievolito lo spirito di comunità di Paolo, che anzi sembra del tutto proteso verso una visione collaborativa della vita. Forse gli anni all’estero, l’allontanamento dalla vita di tutti i giorni fatta di volti noti e abitudini sedimentate è un passaggio obbligato per realizzare certe connessioni, prendere coscienza di come vanno le cose e di come potrebbero andare meglio.
Vincenzo, 27 anni, ha un’altra storia, che l’ha portato lontano da Napoli per alcuni anni. La decisione di partire è legata al problema dei rifiuti nel capoluogo campano, scoppiato nel 2008 in tutta la sua drammaticità. Poi l’idea di tornare indietro e impegnarsi, con altri amici, alla promozione del patrimonio artistico e archeologico del quartiere Sanità di Napoli. Dapprima l’attività è legata principalmente all’organizzazione di visite serali nei luoghi più suggestivi del quartiere. Poi, assieme agli altri pionieri di questa impresa, Vincenzo inizia a scorgere le potenzialità di questa idea, e così quella che era partita come iniziativa amatoriale diventa un vero e proprio lavoro. «Le forze che partono dal basso e puntano in alto sono quelle che hanno maggior successo – conclude Vincenzo nel video – perché hanno le fondamenta molto forti».
La storia di Serena (che cura un blog su Vita), 28 anni, è slegata da quell’aura di “missione” che sembrano trasmettere i due ragazzi. «Il problema dell’Italia è la sua incapacità di riattrarre i ragazzi che sono partiti», spiega. Il suo progetto è di creare un network per tutte quelle persone che temono che non ci sia alcuna possibilità in Italia per loro. «La capacità dell’Italia dev’essere quella di portare chi vuole tornare a farlo, non perché ha la missione di “salvare l’Italia”, ma semplicemente perché nel proprio Paese può stare bene». Insomma, tre storie che valeva la pena fossero raccontate. Facciamo un grande in bocca al lupo ai protagonisti, e ci auguriamo che la loro testimonianza sia d’ispirazione per altri ragazzi, ma anche per la politica, che dovrebbe essere chiamata a creare le condizioni di base per una vita dignitosa e serena.