Ieri è entrato in vigore, in forma provvisoria, l’accordo commerciale di libero scambio tra Unione europea e Canada, denominato Ceta. Ciò vuol dire che sono da subito applicabili le questioni di competenza comunitaria, mentre per tutte le altre bisognerà attendere la ratifica da parte degli Stati membri. Da questo punto di vista, in Italia siamo abbastanza indietro. Come scrive il Sole 24 Ore, «dopo il via libera della commissione Esteri del Senato prima della pausa estiva l’aula affronterà il voto del il Ceta il prossimo 26 settembre tra mille fibrillazioni».
Tra le misure provvisorie già in vigore, oltre alla liberalizzazione di merci, servizi, appalti pubblici e misure non tariffarie, c’è un punto che continua a generare molta diffidenza: la tutela delle indicazioni geografiche (Ig) per i prodotti alimentari. Nei mesi scorsi è stato detto un po’ di tutto su questo tema, e in molti sono arrivati a sostenere esattamente il contrario di ciò che è previsto dal Ceta. C’è infatti chi teme la diffusione nel mercato canadese di prodotti “pirati”, che si spacciano per Parmigiano Reggiano Dop o aceto balsamico di Modena.
Il trattato in realtà si propone proprio di tutelare i nostri marchi dalle imitazioni e dai “furti d’identità”. Per fare un esempio molto citato in questi giorni, finora il consorzio dei produttori del prosciutto di Parma non ha potuto commercializzare i propri prodotti in Canada utilizzando la dicitura “prosciutto di Parma”. Questo perché nel Paese nordamericano il marchio “Parma” è depositato ed è di proprietà dell’azienda Maple Leaf. Grazie al Ceta, i due marchi potranno coesistere e di fianco al “Parma ham” i consumatori canadesi troveranno il vero “Prosciutto di Parma” Ig.
Già a febbraio si era pronunciato con toni molto soddisfatti il direttore del consorzio, Stefano Fanti: «A causa di tale registrazione e non potendo quindi utilizzare il nostro nome, ci era preclusa qualsiasi attività promozionale a favore del nostro prodotto. Tutto questo a danno anche del consumatore canadese che, senza un’adeguata informazione, poteva essere facilmente ingannato da un prosciutto spacciato come Parma che con il Parma non ha nulla a che vedere. Ora, grazie all’intensa tra Unione europea e Canada, potremo utilizzare legittimamente la denominazione “Prosciutto di Parma” e investire sulla nostra marca per sviluppare le nostre esportazioni che attualmente si attestano intorno ai 70mila prosciutti all’anno».
Si tratta forse del caso più eclatante, ma assieme al prosciutto di Parma da ieri godono di tutela in Canada altri 40 prodotti italiani. Possono sembrare pochi, ma dietro a quelle 41 Ig si nasconde il 91 per cento del mercato italiano, spiega Dino Scanavino, presidente nazionale della Confederazione degli agricoltori. Dunque nell’accordo sono finiti i prodotti locali più importanti tra quelli italiani. «È vero che rimarranno fuori dall’accordo ancora 250 delle 291 Ig italiane – si legge su Lavoce.info –, le quali continueranno a non essere tutelate in Canada. Ma come si usa dire: meglio un accordo che nessun accordo, meglio 41 Ig riconosciute che nessuna. E il numero limitato di indicazioni geografiche incluse nell’accordo è dovuto al fatto che si protegge innanzitutto se è utile economicamente proteggere (se non esportiamo determinati prodotti o non hanno mercato sui paesi terzi, perché dovrebbe servire una protezione?) o se è necessario dal punto di vista giuridico (se c’è un effettivo pericolo di utilizzo dell’indicazione geografica da parte di produttori locali)».
Con le sue 1.598 pagine, il Ceta è un accordo vastissimo (se volete avventurarvi nella lettura, il testo è qui), e non c’è dubbio che alcune sue parti possano risultare controverse e passibili di future rinegoziazioni. Cerchiamo però di stare alla larga da chi diffonde strumentalmente informazioni false sui suoi contenuti, al solo fine di generare diffidenza e paura verso tutto ciò che va sotto la definizione di “trattato internazionale”.
In chiusura, smentiamo un’altra bugia diffusa nei mesi scorsi in merito al Ceta, ossia il fatto che avrebbe dato il via libera a prodotti alimentari non sicuri: si è parlato di “grano tossico”, “carne agli ormoni” e altre stupidaggini del genere. Ovviamente niente di tutto questo accadrà, e lo spiega lo strumento interpretativo comune, un allegato del trattato: «Il Ceta non indebolirà le norme e le regolamentazioni rispettive concernenti la sicurezza degli alimenti, la sicurezza dei prodotti, la protezione dei consumatori, la salute, l’ambiente o la protezione del lavoro. Le merci importate, i prestatori di servizi e gli investitori devono continuare a rispettare i requisiti nazionali, compresi norme e regolamentazioni».
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