I pregiudizi non sono sempre dovuti a uno scarso livello culturale. Nell’ambiente medico, per esempio, si annidano stereotipi che prescindono dalla preparazione di chi se ne fa portatore. Ne parla il chirurgo e divulgatore Salvo Di Grazia che ha scoperto, durante una sua esperienza in Francia, che cos’è l’inesistente sindrome mediterranea.

Nel 2000 coronai il mio sogno umano e professionale di tentare un’esperienza di lavoro all’estero. Per chi, come me, aveva scelto come specializzazione l’ostetricia, andare in Francia era la meta. La Francia è considerata la patria dell’ostetricia moderna e della chirurgia ginecologica e, in effetti, posso dire di aver imparato proprio da loro la maggior parte del mio lavoro.

Quello che era routine in Francia da noi era appena arrivato, le attività pratiche (e per un chirurgo sono fondamentali) erano tante, continue, di alto livello.

Andai a lavorare in un grandissimo ospedale storico (prima per sei mesi nel nord est della Francia, poi in altri ospedali), già l’architettura metteva timore. In stile gotico, la costruzione risaliva all’inizio del 1900 ed era stata la casa di medici che avevo letto nei libri come inventori di strumenti, e classificazioni. Pensate che uno dei primissimi primari di quell’ospedale era stato l’inventore dello stetoscopio (lo strumento che permette di ascoltare il battito cardiaco fetale quando è ancora in utero).

Anche l’interno dell’ospedale era maestoso e quasi un museo. Dipinti antichi, statue di marmo, grandi scalinate e corridoi lunghissimi. Metteva soggezione (e infatti le prime settimane furono per me molto dure, psicologicamente).

Per me stare lì era un’occasione ed ero ansioso di apprendere, pendevo letteralmente dalle labbra di quei colleghi più grandi e esperti, quello che dicevano loro era prezioso e fondamentale.

Un giorno, mentre ero di turno, arriva una signora in gravidanza in preda alle doglie. Agitatissima.

Subito dopo essere entrata si ferma, si piega su se stessa e inizia a urlare. A voce altissima gridava «aiutatemi! Aiutatemi». Era di origine maghrebina.

Io mi avvicinai per cercare di darle una mano e provai, parlandole e sostenendola, di farla avvicinare al reparto così da farla sistemare e riposare. Niente, urlava e si dimenava dal dolore provocato dalle contrazioni.

Mi affrettai quindi, aiutandola, a farla entrare in una stanza dove c’erano delle ostetriche che avrebbero potuto prendersi cura di lei.

Notai che qualche mio collega francese, alla scena, assisteva con un fare un po’ sornione. Una collega parlava all’orecchio con un altro e sorridevano assieme. Non capivo.

Quando lasciai la donna in stanza dalle ostetriche tornai indietro e incontrai di nuovo la collega che sorrideva (e lo faceva ancora) così per curiosità le chiesi: “Ma perché ridi?»

Lei mi rispose più o meno: «Non sai riconoscere la sindrome mediterranea? Eppure sei italiano…», e continuò a sorridere.

Io rimasi un po’ perplesso.

Non conoscevo questa malattia, conoscevo l’anemia mediterranea, forse si riferiva a questa? E che c’entrava? E soprattutto che c’era da ridere?

Così non risposi e rimasi tutto il giorno con il dubbio della sindrome mediterranea.

Mi convinsi quasi subito che quella donna avesse qualche particolare che facesse sospettare la sindrome e che magari in Francia si chiamasse così ma da noi, in Italia, avesse un altro nome. Certo che ero curioso ma ero troppo preso dal lavoro per approfondire.

La sera consultai anche un libro ma non trovai traccia di questa misteriosa sindrome, internet non dava risultati e non avevo nemmeno il tempo di stare ore davanti al computer.

Passarono pochi giorni e durante il giro di visite in reparto, dopo aver controllato le donne operate il giorno prima, arrivati al letto di una di esse che si lamentava particolarmente, il primario disse: “datele un po’ di morfina, questa è sindrome mediterranea”.

Eccola di nuovo la misteriosa sindrome.

La sindrome mediterranea, malattia per me sconosciuta, era stata diagnosticata per due volte in pochi giorni, magari in Francia era comune, ecco un’altra cosa da imparare. Sicuramente dovevo approfittarne per capire, ero lì per quello.

Così in pausa pranzo, a tavola con alcuni miei colleghi, chiesi con tranquillità: “ragazzi ma qual è la sindrome mediterranea? In Italia la chiamiamo in qualche altro modo…”.

Si guardarono per pochi secondi e scoppiarono tutti a ridere.

Non capivo.

Iniziai a capire dalle loro spiegazioni.

La sindrome mediterranea, per i francesi, è una forma razzista, vaga e senza basi mediche, per definire le persone che si lamentano eccessivamente (secondo i medici francesi) e che hanno origini mediterranee. Riguarda quindi proprio noi italiani, gli spagnoli, i greci ma anche gli originari del nord Africa (marocchini, tunisini, algerini), tantissimi in Francia.

Secondo i colleghi francesi noi saremmo particolarmente esagerati, spettacolari, quando dobbiamo dimostrare un nostro disturbo.

Se abbiamo un dolore urliamo, se ci gira la testa sveniamo, se abbiamo mal di gola non parliamo più, dimostriamo al mondo la nostra immane sofferenza mentre i “nordici” sono più chiusi, composti, meno esaltati. Noi italiani (e i “colleghi” che nascono vicino a noi) saremmo maleducati anche nel dolore. Questo perché noi che ci affacciamo sul mare siamo un popolo esagerato, teatrale.

È una cosa che non sa nessuno fuori dai confini francesi.

Non ci potevo credere.

Non si trattava di una malattia ma di un pregiudizio.

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(Foto di Piron Guillaume su Unsplash)