Ci sono pareri discordanti sull’entità dell’accordo raggiunto dai delegati dei 195 Paesi partecipanti alla Conferenza mondiale sul clima di Parigi. Riportiamo l’analisi di George Monbiot, esperto di ambiente, pubblicata dal Guardian e tradotta in italiano da Internazionale.

Rispetto a quello che avrebbe potuto essere, è un miracolo. Rispetto a quello che avrebbe dovuto essere, è un disastro.

Nel ristretto ambito in cui si sono svolti i colloqui, l’accordo approvato dalla conferenza Onu sul clima di Parigi è un grande successo. Il sollievo e l’autocompiacimento con cui è stato accolto il testo confermano il fallimento del vertice di Copenaghen di sei anni fa, in cui i negoziati si protrassero ben oltre i tempi previsti per poi finire nel nulla. L’accordo sul tetto fissato per il riscaldamento globale (”ben al di sotto dei 2 gradi centigradi”, si legge nel testo adottato), dopo che per tanti anni questa richiesta era stata respinta, può essere visto come una clamorosa vittoria. Da questo e altri punti di vista, il documento finale è più forte di quanto molti si aspettassero.

Ma appena si esce da questo ambito ristretto, le cose appaiono in modo diverso. Dubito che qualcuno dei negoziatori sia veramente convinto che grazie a questi colloqui il riscaldamento globale si manterrà al di sotto dei due gradi. Considerate le deboli promesse che hanno fatto i governi a Parigi, perfino due gradi sono un obiettivo ambizioso. Sebbene alcuni paesi abbiano negoziato in buona fede, probabilmente il vero risultato del vertice sarà comunque un cambiamento climatico pericoloso per tutti e letale per alcuni.

I nostri governi si preoccupano tanto di non oberare di debiti le prossime generazioni, ma hanno appena deciso di lasciare loro un’eredità ancora più pericolosa: l’anidride carbonica prodotta dal protrarsi dell’uso dei combustibili fossili, e le conseguenze a lungo termine che questo avrà sul clima del pianeta.

Con un aumento delle temperature di 2 gradi, ampie regioni della superficie terrestre diventeranno meno abitabili, e probabilmente le loro popolazioni saranno colpite da fenomeni estremi: periodi di siccità più lunghi in alcune zone, e inondazioni devastanti in altre, che potrebbero influire notevolmente sull’approvvigionamento alimentare. In molte parti del mondo, isole e zone costiere rischieranno di essere inghiottite dalle onde.

La combinazione tra l’acidificazione degli oceani, l’estinzione dei coralli e lo scioglimento dei ghiacci dell’Artide potrebbe comportare la scomparsa di intere catene alimentari marine. Sulla terra, le foreste pluviali potrebbero recedere, i fiumi prosciugarsi e le zone desertiche espandersi. Il marchio della nostra era potrebbero essere le estinzioni di massa.

Questi saranno i risultati di quello che i delegati di Parigi hanno definito un successo. E invece, è ragionevolmente prevedibile che si dimostri un fallimento. Mentre nelle prime stesure dell’accordo si specificavano date e percentuali, il testo definitivo mira soltanto a “raggiungere al più presto possibile il picco globale delle emissione di gas serra”. Il che può significare tutto e niente.

A dire la verità, la colpa di questo fallimento non andrebbe attribuita a Parigi, ma all’intero processo. Il tetto di due gradi che oggi è un obiettivo improbabile da raggiungere, all’epoca della prima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che si svolse a Berlino nel 1995 era perfettamente raggiungibile. Vent’anni di rinvii, dovuti alle manovre – palesi, segrete e spesso decisamente sinistre – della lobby dei combustibili fossili, alle quali si è aggiunta la riluttanza dei governi a spiegare al loro elettorato che le decisioni a breve termine hanno un costo a lungo termine, hanno fatto in modo che la finestra delle opportunità sia ormai chiusa per tre quarti.

Il vertice di Parigi è il migliore che ci sia mai stato. E questa è un’accusa terribile.

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Fonte foto: flickr