Quello presente è un momento particolare anche per gli psicologi. I professionisti che dovrebbero aiutare le persone a trovare equilibrio e stabilità si trovano investiti dagli stessi fenomeni e le stesse dinamiche dei propri pazienti. Devono cioè assorbire paure e difficoltà delle persone che hanno in cura, spesso motivate dalla pandemia da coronavirus, mentre al contempo vivono stati di ansia e preoccupazione dovuti alla stessa causa. Si tratti di un raro caso in cui psicologo e paziente sono in una posizione di vicinanza che ne rende i ruoli leggermente meno definiti. Ne ha scritto qualche giorno fa il New York Times, riportando l’esperienza di molti terapeuti che operano nella più importante città statunitense. Melissa Nesle ha detto: «Non mi era mai capitato di attraversare un trauma nello stesso momento dei miei pazienti. Ciò che ascolto per tutto il giorno, ora dopo ora, è ciò che anch’io sto vivendo». A quanto pare, questo ha reso alcuni pazienti riluttanti nello scaricare addosso a Nesle tutto il proprio peso. «Sono coscienti in qualche modo che sono anch’io nella stessa situazione – ha detto Nesle –. Quindi cerco di rassicurarli: “Sì, è tutto molto stressante, sono con te, lo sento”. Cerco di convincerli che sto bene. Ma non sempre lo sono». La psichiatra Lucy Hunter, dopo le prime due settimane di terapia in remoto, una sessione dopo l’altra, si è ritrovata a sprofondare nel sonno alle sette di sera, sfinita dall’effetto cumulativo di tutte quelle preoccupazioni ripetute per ore. Molti terapeuti di New York si stanno rivolgendo a servizi dedicati. In aprile, l’ American Psychoanalytic Association ha avviato un programma di assistenza tra colleghi. Il primo giorno, più di mille professionisti hanno chiesto di essere ascoltati, a fronte di 245 posti disponibili. Alcuni psicologi hanno assunto altri psicologi a spese proprie, racconta ancora il NYT. Altri hanno cominciato a fare meditazione, o si sono costruiti le proprie routine di rilassamento. L’analista Mark Borg ha nascosto ai propri pazienti il fatto di avere contratto lui stesso il coronavirus, mentre continuava a parlare con loro nelle sessioni a distanza.
Problemi anche per gli operatori sanitari
Qualcosa di simile sta succedendo anche agli operatori sanitari. La risposta di molti paesi è stata attivare anche per loro dei servizi di assistenza psicologica a distanza. Ma, come scrive Nature, in questo modo allo stress affrontato sul campo da medici e infermieri si è aggiunto anche quello della “stanchezza da videoconferenza”. Alcuni professionisti che si occupano di salute mentale denunciano un senso di isolamento dai propri colleghi, e di distacco dai propri pazienti. Altri si sono accorti che la continua partecipazione a terapie a distanza li ha privati delle pause che prima si concedevano per recuperare il proprio equilibrio emotivo. Per quanto riguarda l’Italia, un’iniziativa dell’ordine degli psicologi e dell’Inail (l’ente pubblico che si occupa della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) si propone di assistere gli operatori sanitari attraverso task force istituite all’interno delle strutture sanitarie su tutto il territorio nazionale. «Medici, infermieri, operatori delle ambulanze, assistenti sociali e domiciliari – ha detto il presidente dell’Inail, Franco Bettoni – sono sottoposti da settimane a un carico di lavoro estenuante, a cui si somma la pressione fortissima che deriva dal contatto quotidiano con la sofferenza e dalla paura di essere contagiati e di contagiare i propri familiari. Lo stress psico-fisico prolungato nel tempo rischia di avere conseguenze negative che non vanno sottovalutate. Con questa iniziativa mettiamo a disposizione di tutte le strutture sanitarie strumenti utili per prevenirle e per gestirle in modo efficace».
(Foto di Hello I’m Nik su Unsplash)