Soprattutto nella prima fase della pandemia, la perdita dell’olfatto era uno dei sintomi più diffusi che segnalava alle persone che probabilmente avevano contratto il virus che causa il COVID-19. Ora quel tipo di sintomo è molto meno comune, a causa di come le diverse varianti del SARS-CoV-2 si sono evolute. «È emerso che – scrive Nature –, rispetto a coloro che erano stati infettati dal virus originale, le persone che avevano contratto la variante Alpha – la prima variante preoccupante – avevano il 50% di probabilità di avere disturbi chemosensoriali. Questa probabilità è scesa al 44% per la successiva variante Delta e al 17% per l’ultima variante, Omicron».
Fin dall’inizio i ricercatori hanno cercato di indagare le cause di questo fenomeno, che in diversi casi permane anche dopo la negativizzazione, e per alcune persone non si è mai risolto. Secondo quanto riporta Nature, finalmente si registrano dei progressi in merito e sono in fase di sperimentazione clinica diverse potenziali terapie, che coinvolgono anche l’uso del plasma sanguigno.
Nuclei stravolti
All’inizio della pandemia, gli studi hanno dimostrato che il virus attacca le cellule del naso, chiamate sustentacolari, che forniscono nutrimento e supporto ai neuroni che percepiscono gli odori.
Da allora sono emersi indizi su ciò che accade ai neuroni olfattivi dopo l’infezione. Facendo delle analisi sulle persone decedute a causa del COVID-19, alcuni ricercatori hanno scoperto che, sebbene i loro neuroni fossero intatti, avevano un numero inferiore rispetto alla media di recettori che rilevano le molecole di odore. Questo perché i nuclei dei neuroni erano stati stravolti. Normalmente, spiega l’articolo, i cromosomi di questi nuclei sono organizzati in due compartimenti, una struttura che consente ai neuroni di produrre recettori specifici per gli odori in grandi quantità. Ma quando il team ha esaminato i neuroni sottoposti ad autopsia, l’architettura nucleare era irriconoscibile.
Altri studi suggeriscono che il motivo per cui solo alcune persone subiscono una perdita dell’olfatto a lungo termine sia dovuto a una mutazione genetica associata a una maggiore propensione alla perdita dell’olfatto o del gusto. Ma non è ancora chiaro come il SARS-CoV-2 interagisca con questi geni.
Ci sono anche prove di cambiamenti a lungo termine nel cervello delle persone che hanno perso l’olfatto. In uno studio pubblicato a marzo, 785 persone nel Regno Unito sono state sottoposte a due scansioni cerebrali. Circa 400 persone sono state infettate dal COVID-19 tra una scansione e l’altra, quindi gli scienziati hanno potuto osservare le differenze strutturali. I guariti hanno mostrato diversi cambiamenti cerebrali, tra cui un danno nelle aree collegate al centro olfattivo. Non è chiaro il motivo di questo fenomeno, ma una possibilità è la mancanza di input: quando smettono di arrivare informazioni dal naso per un certo periodo, le aree del cervello deputate al riconoscimento degli odori tendono ad atrofizzarsi.
Terapie in fase di sperimentazione
Nel frattempo, molte terapie sono in fase di sperimentazione, spesso nell’ambito di piccoli studi clinici. Siccome è ancora presto per testare queste cure su larga scala, per ora si lavora solo sull’addestramento all’olfatto. Ai pazienti vengono dati campioni di sostanze dall’odore forte da annusare e cercare di identificare, con l’obiettivo di guidare il ripristino della percezione. Tuttavia, il metodo sembra funzionare solo con le persone che hanno una perdita parziale dell’olfatto. Ciò significa che aiuta circa un terzo delle persone che hanno sperimentato un disturbo chemiosensoriale dopo il COVID-19.
Per trovare cure per tutti gli altri, diversi ricercatori stanno sperimentando gli steroidi, che riducono l’infiammazione. Il COVID-19 scatena un’infiammazione estesa, che potrebbe avere un ruolo nell’alterazione dell’olfatto. Quindi, in teoria, gli steroidi potrebbero aiutare, ma in pratica i risultati fin qui sono stati deludenti.
Un’altra possibilità è l’uso di plasma ricco di piastrine, ricavato dal sangue dei pazienti e ricco di sostanze biochimiche che potrebbero indurre la guarigione. Uno studio pilota pubblicato nel 2020 ha seguito sette pazienti a cui è stato iniettato plasma ricco di piastrine nel naso: cinque di loro hanno mostrato miglioramenti dopo tre mesi. La sperimentazione è dunque proseguita e un articolo pubblicato a febbraio di quest’anno, relativo a uno studio condotto su 56 persone, ha rivelato che il plasma ricco di piastrine le rendeva più sensibili agli odori. Si tratta però di numeri troppo piccoli per trarre considerazioni generali. Un gruppo di ricerca con sede negli Stati Uniti sta avviando uno studio più ampio e sarà interessante seguire le loro ricerche.
L’articolo di Nature si chiude rilevando che, a differenza dei vaccini contro il COVID-19, che sono stati testati a una velocità senza precedenti grazie a un enorme sostegno da parte dei governi, le cure per la disfunzione chemiosensoriale post-COVID procedono a rilento, nonostante sia un problema invalidante per moltissime persone.
(Foto di Richárd Ecsedi su Unsplash)
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