Uno gruppo di ricercatori ha trovato delle correlazioni tra un alto consumo di cibo biologico e un abbassamento dell’incidenza di alcuni tipi di tumore. Ma ha anche messo molte mani avanti: altri fattori legati allo stile di vita dei partecipanti al test potrebbero avere influenzato i risultati, e comunque è necessario verificare l’ipotesi con ulteriori ricerche. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica JAMA Internal Medicine, è comunque interessante per vari motivi, tra cui il fatto che ha coinvolto moltissime persone (quasi 70mila, donne per la maggior parte) e ha coperto un arco di tempo piuttosto lungo, dal 2009 al 2016. Ai volontari era richiesto di riferire il loro consumo di 16 tipi di prodotti biologici (frutta, verdura, prodotti a base di soia, formaggi, carne, pesce, uova, ecc.). Non erano richiesti dati quantitativi (e questo è uno dei punti deboli dello studio), ma solo una stima dei consumi su una scala da 1 a 8. Da questa valutazione veniva composto un punteggio da 0 a 32, che serviva da base per comparare le notizie relative alla salute.
È stato notato che punteggi più alti avevano una correlazione positiva con il fatto di essere donna, un alto profilo occupazionale o reddito mensile, un titolo di studio universitario, fare attività fisica ed essere ex fumatori. Parallelamente, punteggi alti erano associati a una dieta sana e ricca di fibre, proteine vegetali e micronutrienti, oltre a una maggiore assunzione di frutta, verdura, frutta secca, legumi e un minore consumo di carni processate, carne in generale, pollame e latte. La correlazione tra questi profili e il rischio di sviluppare tumori costituisce il nodo della ricerca, e anche il suo aspetto più controverso. «Associazioni negative sono state trovate tra il rischio di cancro e la combinazione di una dieta di qualità medio-bassa e un alto consumo di cibo biologico». Una conclusione poco chiara, nata da risultati tutti da approfondire e replicare prima di arrivare a conclusioni certe.
Le correlazioni comunque sembrano essere associate solo ad alcuni tipi di tumore, ossia quello al seno post-menopausa, i casi di linfoma Non-Hodgkin e i linfomi in generale. L’ipotesi della ricerca ruota tutta attorno all’uso di pesticidi nell’agricoltura non biologica. Alcuni di essi (come il glifosato) hanno dimostrato di essere cancerogeni per chi lavora nei campi ed è quindi esposto ad alte concentrazioni di tali sostanze. Sebbene diversi studi abbiano dimostrato che chi mangia molti alimenti biologici abbia una minore concentrazione di pesticidi nel sangue e nelle urine, si parla di quantità incomparabilmente più piccole, di cui nessuno studio ha confermato la pericolosità. Vale anche in questo caso la regola secondo cui è la dose che fa il veleno: il fatto che in certi alimenti ci siano tracce di pesticidi non li rende automaticamente cancerogeni. Dipende da quanto sono pesanti queste tracce. Gli stessi ricercatori ammettono che il loro studio non dice l’ultima parola (come è normale che sia in ambito scientifico) sull’argomento, ma suggerisce che sia necessario approfondire la questione, ripetere il test e magari introdurre un sistema di valutazione più preciso rispetto a quello adottato in questo caso.
Inoltre, è comunque importante diffondere una cultura di alimentazione bilanciata unita a stili di vita sani per migliorare complessivamente lo stato di salute delle persone. Probabilmente non è la quantità di cibo biologico in sé a determinare maggiori o minori rischi di sviluppare un tumore nel corso degli anni. È però vero che prestare una maggiore attenzione a ciò che si mangia (e ciò che si evita) è un primo passo verso una maggiore consapevolezza del proprio stato di salute. Siccome poi l’accesso al biologico è segnato anche da una barriera economica (visto che costa mediamente di più), occorre puntare anche su altri fattori che non mettano in gioco questo parametro. Un esempio? Camminare!