A leggere le ultime inchieste sulla situazione degli affitti a Roma e sulle truffe condotte da lavoratori pubblici ai danni dello Stato, l’Italia sembra una sintesi perfetta tra l’incapacità del secondo di gestire le risorse e l’attitudine dei suoi cittadini a frodarlo. Alcuni articoli del Corriere della sera, nelle ultime settimane, hanno denunciato fatti non certo nuovi, ma che forse prima d’ora non si era mai provato a valutare, e che comunque colpiscono per la loro entità. In particolare, si è cercato di stimare la perdita per lo Stato dovuta ai reati più vari legati al lavoro pubblico, all’indebita riscossione di pensioni e agevolazioni fiscali, ecc. Si arriverebbe a circa quattro miliardi. «È la voragine creata dall’attività illecita di circa 7.000 dipendenti pubblici infedeli – scrive Fiorenza Sarzanini –. Funzionari corrotti oppure impiegati che non hanno rispettato la legge nello svolgimento delle proprie mansioni e dunque hanno compiuto illeciti che vanno dalle omissioni agli abusi. Ci sono le truffe nel settore sanitario, i mancati controlli nell’erogazione di pensioni, indennità ed esenzioni, le procedure truccate per la concessione degli appalti. Ci sono gli appalti gonfiati e i medici assenteisti, le consulenze inutili e i doppi incarichi tra i casi più eclatanti scoperti dagli investigatori della Guardia di finanza». Nell’articolo, così come in quello di Gian Antonio Stella per la stessa testata, potete leggere una serie di casi accertati riguardanti persone che, semplicemente, truffavano lo Stato (e quindi l’intera collettività) senza farsi problemi, magari pensando che, in fondo, non c’era niente di sbagliato.

Una quantità così alta di reati contro la pubblica amministrazione è spiegabile solo con una totale distinzione, nella percezione di ognuno, tra lo Stato come apparato e lo Stato come comunità. Forse questa separazione c’è sempre stata nella testa degli italiani, che non hanno voluto l’unificazione del Paese al prezzo di lotte collettive ma per scelte prese dall’alto. Ma una volta fondato lo Stato, in una società ideale, dovrebbe innescarsi un meccanismo di avvicinamento, se non identità, tra chi lo compone e l’apparato che opera a suo nome. Di identità non si arriverà mai a parlare da nessuna parte, certo, ma pare che in Italia il meccanismo si sia inceppato ancor prima di mettersi in funzione. «Che una pretesa superiorità morale della “società civile” non avesse senso, sia chiaro, si sapeva da un pezzo – scrive Stella –. E nulla è fastidioso quanto ascoltare gli strilli di chi è idrofobo con “chi comanda” e il “governo ladro”, sia esso di destra o di sinistra, e insieme indulgente verso se stesso, i propri furti, le proprie furbizie. Detto questo, però, l’assoluzione della politica “che in fondo è solo lo specchio della società” è inaccettabile. È la politica che deve pilotare la società a migliorare. Lo spiegava, secoli fa, David Hume: “Nell’escogitare un sistema qualunque di governo e nel fissare i molti freni e controlli della Costituzione, si deve supporre che ogni uomo sia un furfante e non abbia, in tutte le sue azioni, altro fine che l’interesse personale”. Sono le regole e la severità sul loro rispetto ad aiutare una società a crescere. A diventare più corretta». Potremmo aggiungere che, oltre a fissare le regole e farle rispettare, chi governa dovrebbe anche dare il buon esempio rispettando minuziosamente le regole che fissa per i cittadini. Inutile sottolineare come vanno le cose in Italia.

Oltre a non dare questa grande impressione di correttezza morale, spesso lo Stato si dimostra anche incapace di gestire le proprie risorse, rendendosi così complice di ingiustizie che dovrebbe combattere. O comunque dimostrando un’organizzazione interna talmente fallace, in alcune sue parti, da trasmettere l’idea che non ci sia nessun obbligo di correttezza da parte di chi usufruisce di un servizio, anche quando non ne ha diritto. Il caso degli appartamenti romani è lampante. Spesso si sente dire che lo Stato si occupa troppo degli immigrati e non fa abbastanza per i suoi cittadini che non hanno soldi per pagarsi l’affitto. A Roma, con 43mila immobili affittati a privati, il Comune ha incassato 27,1 milioni di euro, cioè una media di circa 630 euro all’anno per appartamento (spendendo però 138,9 milioni di euro per la gestione di questo enorme patrimonio, arrivando quindi a perderci). Questo il dato medio, poi si va da chi arriva a pagare anche pochi centesimi al mese a chi sostiene affitti “quasi veri”. Si tratta forse di appartamenti affittati esclusivamente a persone indigenti? Macché, sotto i tetti pubblici c’è un po’ di tutto, dal Corpo di soccorso dell’Ordine di Malta a chi ha ereditato il contratto decenni fa e non ha mai subito aumenti del canone.

Oltre a non riuscire a riscuotere quanto dovuto, si spendono milioni di euro per fronteggiare l’emergenza abitativa chiedendo spazi in affitto a privati: «Per le 4.801 abitazioni che invece il Comune affittava dai privati per far fronte all’emergenza abitativa (non bastavano più di 43 mila case di proprietà) si tiravano fuori 21,3 milioni: mediamente 370 euro al mese per ognuna di esse, sette volte quello che incassava per i propri alloggi. E per i Centri di assistenza temporanea, cioè l’emergenza dell’emergenza, il Campidoglio arrivava a pagare anche pigioni mensili di 2.700 euro…». Di fronte a tale cattiva gestione, l’idea di agire scorrettamente e farla franca non può che passare per la mente di molti “onesti cittadini”.

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