Cloe Bianco era un’insegnante di fisica transgender che dal 2015 aveva iniziato a vestirsi con abiti femminili a scuola, e da allora aveva subito pesanti discriminazioni sul luogo di lavoro. Il suo suicidio, avvenuto l’11 giugno, ha riaperto un dibattito più ampio sul problema della transfobia in Italia. Un articolo su Valigia Blu ricostruisce la vicenda.

La storia di Cloe Bianco è una storia di ordinaria transfobia. Dove per ordinaria non si intende quella quotidianità che rientra nella sfera del normale. Si allude a un costume diffuso che non ha niente di accettabile, semmai. E ci dice molto del pensiero trans-escludente che solo nell’ultimo anno ha tenuto banco nell’opinione pubblica e nell’agenda politica.

Ma andiamo per ordine. Stiamo parlando di una persona che insegnava fisica in una scuola. Una docente allontanata dal suo posto di lavoro perché transgender, e che alla fine di una lunga spirale di discriminazione si è tolta la vita. Tante sono le criticità di questa triste vicenda, che vanno oltre il caso di cronaca in sé. Non poter insegnare perché persona transgender è una discriminazione che viola basilari diritti costituzionali. Eppure ciò che è successo alla professoressa Bianco va in tale direzione. Il demansionamento prima, poi l’allontanamento definitivo dall’insegnamento.

Così ricorda Rolling Stone: «La mattina seguente» rispetto al coming out di persona trans, «la professoressa venne sospesa per tre giorni dall’insegnamento, a causa del comportamento ritenuto non “responsabile né corretto”». E quindi, si apprende ancora, «fu relegata alla segreteria, perdendo la possibilità di insegnare».

Nel frattempo i media raccontavano la sua storia. La vicepreside della scuola in cui lavorava ebbe a dire nel 2015: «Sono stata un’ora con l’insegnante. Abbiamo parlato anche del tipo di abbigliamento da usare. Inizialmente non ha recepito, anzi mi ha contestato questa cosa, sostenendo che non dovrebbero esserci limitazioni nel modo di vestire. Ho ricordato il codice che abbiamo e che riguarda tutti. Direi che a scuola si è poi sempre presentata in maniera sobria». Nome e cognome sui giornali, quei riferimenti a un look non consono. Ci sarebbe da chiedere quali sono stati i parametri che hanno portato a considerare eccessivo l’outfit dell’insegnante, se il problema fosse l’indossare una minigonna o se il problema fosse chi la indossava. Non potremo mai saperlo.

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(Photo by Cecilie Johnsen on Unsplash)

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