«Spiacente, ma per questo progetto non c’è budget». Questa la risposta ricorrente dei tre video realizzati e diffusi dal collettivo ZERO per denunciare il problema vissuto in Italia da centinaia di migliaia di professionisti impegnati in lavori cosiddetti “creativi” (sulla parola in sé ci sarebbe da discutere, ma lasciamo correre), come grafica, organizzazione eventi, copywriting, comunicazione, ecc. La campagna è intitolata provocatoriamente #coglioneNo. Diffusa da pochi giorni, l’iniziativa ha riscosso un’enorme successo, i video rimbalzano sui social network come sulle testate d’informazione ricevendo commenti per lo più positivi. Vi consigliamo caldamente di guardarli, tutti e tre, perché, oltre a essere molto divertenti, riescono a delineare in maniera molto efficace alcune situazioni che si ripetono quotidianamente in ambito lavorativo, e che colpiscono la dignità di chi è giovane, ha studiato e cerca semplicemente di fare il proprio mestiere, aspettando in cambio di essere pagato.

Nei video si prendono come pretesto situazioni domestiche molto concrete, con l’idraulico che accorre e in cinque minuti ripara lo scarico del bagno, l’antennista che permette al tifoso di vedere l’imperdibile derby (lui l’abbonamento allo stadio ce l’ha, ma «metti che mi voglio vedere il replay…») e il giardiniere che rimuove (di domenica mattina) il ramo che sbatte contro la finestra di una villa di lusso. In tutti e tre i casi, a lavoro finito, di fronte alla timida richiesta di pagamento, la risposta è quella che riportavamo in apertura. Con le argomentazioni più ricorrenti: «Non ti pago, ma ti do la visibilità», «Ti do la possibilità di lavorare in un ambiente di un certo tipo, apprezzalo, e ricordati che nella vita bisogna fare dei sacrifici», e infine «Sei giovane, hai fatto un’esperienza. Ti fa curriculum». Sono questi, tra i tanti, i cavilli che si tirano in ballo (nella realtà, non nei video) per non pagare il lavoro dei giovani creativi.

Una logica agghiacciante, che spinge poi molti freelance a lasciare l’Italia in cerca di Paesi in cui i rapporti professionali siano più normali (di questa fuga di cervelli non si parla mai, limitandosi quasi sempre ai ricercatori). Non c’è dubbio che la formula ha funzionato, visto che si è aperto un dibattito molto acceso in rete su a questi video. Finalmente i giovani creativi italiani alzano la testa e hanno dalla loro una campagna ironica, convincente e ben fatta. Ora però si deve passare all’azione. Organizzarsi, strutturarsi, esigere il diritto alla dignità del proprio lavoro. Spesso si pensa a questa categoria come composta da persone che non hanno avuto voglia di intraprendere una carriera più normale, imparare mestieri più concreti (idraulico, antennista, giardiniere, per esempio), e quindi ora non possono lamentarsi se si trovano in questa situazione. Ma il discorso è diverso, perché si parla di ragazzi a cui viene chiesto un lavoro, magari impegnativo, lungo, senza orari né fine settimana, che poi alla fine si sentono dire che il loro compenso salta perché «non c’è budget». È una dinamica che deve interrompersi quanto prima. Il vero perdente è chi chiede il lavoro senza averne i soldi, perché non il ha mai avuti o perché li ha finiti perché ha fatto male i conti. È su di lui che deve ricadere la responsabilità.

In questo ha forse giocato un ruolo negativo la pratica degli stage non retribuiti e senza rimborso spese, che hanno abituato i neo laureati (o almeno quelli tra loro che accettano queste condizioni) a un’idea di gavetta senza reddito, condannandoli all’assurdo status di lavoratori mantenuti dai genitori. Ora la catena di sfruttamento si allunga alla fase successiva, quando il lavoratore (per quanto giovane) è formato, fa un lavoro di qualità rispettando tempi e consegne salvo poi doversi accontentare “dell’esperienza”. Crescono i curriculum ma non i compensi, e allora per forza che uno appena può prende un low cost e tanti saluti Italia.